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Seconda parte

Francesco II d’Asburgo-Lorena

…nell’agiatezza ed a questa fu aggiunta una pensione da spendersi al di fuori dell’ Austria, accordata dal giovane imperatore Francesco II, figlio e successore di Leopoldo II. Per Livia iniziò un vero e proprio calvario: Francesco II allontanò da lei il piccolo Luigi, suo fratellastro, perché crescesse in Austria, affidato ad una famiglia di un funzionario di governo e poi avviato alla carriera militare, che lo porterà più tardi a partecipare alle guerre antinapoleoniche. Livia venne rimpatriata insieme agli esponenti della sua famiglia. Infelice sarà anche il suo matrimonio con Malfatti, tanto da dover richiedere l’ intervento del figlio per sistemare la complessa situazione coniugale, intervento che l’imperatore Francesco II sembrò avesse sconsigliato al fratellastro per la presenza dei francesi a Firenze. Molte lettere indirizzate da Luigi alla madre esprimevano il desiderio del giovane di poter rincontrare Livia a Firenze. Si dice che questo incontro, però, non poté mai avvenire: egli si ammalò all’inizio del 1814 e morì a Vienna il 2 luglio dello stesso anno.

Durante la dominazione francese molti parenti di Livia lasciarono Firenze. Rimase il fratello Francesco, di soli due anni più giovane di lei, che dopo aver risieduto in via della Crocetta, in uno stabile già di proprietà del Convento della Crocetta, si era trasferito poi in un piccolo appartamento in via dei Pilastri con la moglie Anna, di origine napoletana e la figlia Maria Adelaide Maddalena (chiamata Adelaide), nata dalla loro unione il 23 maggio del 1807 e battezzata nella parrocchia della SS. Annunziata. Lo stato economico della famiglia, però, risultava alquanto precario in quanto Francesco aveva precedentemente perduto il suo ruolo di usciere a Roma, che gli aveva permesso di condurre una vita abbastanza agiata.

Della vita di Livia a Firenze nella fase della Restaurazione, prima sotto il governo del granduca di Lorena Ferdinando II e dal 1824 di Leopoldo II, sappiamo molto poco. Si sa per certo che un documento del 21 agosto del 1826 attestò la domanda da parte della comunità di Pisa, allora rappresentata dal gonfaloniere Mustiani, per ottenere il rimborso delle spese sostenute per il trasporto allo Spedale di Bonifazio di diversi infermi di mente, appartenenti alla comunità di Firenze e tra questi veniva menzionata anche Livia Raimondi. Può trattarsi di omonimia, ma troppe sono le coincidenze che fanno pensare a lei: Pisa, dove lei già visse e dove avvenne l’ incontro con il granduca Pietro Leopoldo; Firenze, dove risiedeva e dove poi morì il 7 settembre 1837 e dove fu seppellita. Livia, pur vivendo nell’agiatezza, a seguito anche della eredità richiesta ed ottenuta dopo la morte del figlio, può essersi ritrovata a dover affrontare molte difficoltà e vessazioni da parte di persone a lei vicine che possono averle causato quello stato definito dai medici “maniacale”. Non va tralasciato che all’epoca molti erano anche i casi di persone internate in quanto dichiarate pazze o maniache a seguito di semplici dichiarazioni da parte di familiari, i quali usavano questo stratagemma per liberarsi di loro o per impossessarsi dei loro beni.

Chiostro chiesa della SS. Annunziata.

Ai giorni nostri non ci sono giunte immagini che raffigurano Livia Raimondi e che ne possano in qualche modo eternare la bellezza tanto declamata. Del ricordo di lei a Firenze rimane il “Casino della Livia” in piazza S. Marco all’ angolo con via degli Arazzieri, palazzo Bombicci in piazza della Signoria al n. 5, all’angolo con via dei Calzaioli , ed una lapide monumentale che si trova su una parete all’interno del Chiostro dei morti nella chiesa della SS. Annunziata. La lapide in marmo, in stile neoclassico, reca in alto scolpita un’ urna coperta in parte da un drappo funebre e su cui poggia una corona d’ alloro; in basso scolpito l’ elmo di un soldato con sottostante scudo che reca un leone rampante sormontato da una corona, al cento un’ iscrizione riporta in latino quanto segue:

M. Liviae Iosephi F.Raimondiae / Domo Roma /Feminae comi . Moribus suavissimis /Ad beneficia vel ad supremas tabulas / Promptissimae / Quae maritis primo atque altero amissis / Et ingentibus calamitatibus afflictata/ Ab una religione doloris expetens levantum / Pietati impensius recolendae se dedit /Memor gaudium constans in deo tantum quaerendum /

Deced. VII. ID. Sept . A. MDCCCXXXVII / aet. LXXIII / amitae Bene Merenti/

Sex. ex Constantino fr/ nepotes et heredes/monumentum

Dall’ iscrizione si viene a conoscenza che la lapide monumentale le fu dedicata dal fratello Costantino e da nipoti ed eredi dopo la sua morte, avvenuta a Firenze il 7 settembre 1837. Trapelano accenti di commozione e di affetto da parte dei familiari e degli eredi, (non vi è citato alcun figlio), quando viene sintetizzata l’indole dell’estinta, disponibile in vita a “fare il bene ed a rispettare le leggi supreme” ed a risollevarsi dal dolore, dalla perdita di due mariti e dall’ “afflizione per le numerose disgrazie”, avvicinandosi alla religione e quindi a Dio. Come ben si avrà modo di notare, l’iscrizione lascia molte perplessità e molti punti interrogativi aperti perché Livia risulta deceduta all’età di 73 anni e quindi sarebbe nata nel 1764 e non nel 1770, come invece compare nei registri del censimento della popolazione fiorentina nel 1810. Inoltre risulterebbe coniugata ben due volte e per altrettante volte rimasta vedova, quando, invece, si è a conoscenza del solo legame ufficiale con Malfatti dopo la morte dell’imperatore Leopoldo II. Pertanto l’iscrizione o vuol richiamare alla memoria anche lo stretto legame di Livia con Pietro Leopoldo, legame che fu coronato dalla nascita di un figlio, oppure ricordare i due effettivi ed ufficiali matrimoni di Livia, di uno dei quali ad oggi, però, non si ha ancora alcuna testimonianza e conoscenza.

Marta Questa
Livia Raimondi, storia di un’amante. Seconda parte.

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