FlorenceCity: Alcuni giorni fa abbiamo pubblicato un articolo di Enrico Bartocci riguardante una villa al Bobolino, villa della Gherardesca. Nell’articolo si accennava ad un fatto di cronaca successa qualche tempo fa, la morte di una persona. Fra i nostri abituali lettori abbiamo la moglie di questa persona, una donna che non ha mai smesso di cercare la verità su questa morte, addirittura arrivando a scrivere un libro su questo triste argomento; ci ha contattati. Abbiamo avuto modo di scambiarci alcune mail dove gli chiedevo informazioni più dettagliate in maniera da poter scrivere qualcosa e rinnovare la memoria di questa vicenda oscura. Maria Grazia ci ha fornito una serie di informazioni, lettere scritte da lei, contatti con l’ordine dei Medici, con l’Aeronautica Militare ed altro. Da queste informazioni nasce questo pezzo che le unisce e rinnova la memoria per dare a voi lettori una chiave diversa da vagliare. Valutare un punto di vista diverso da quello che lascia nel dubbio e immaginare una soluzione al caso, anche se ormai è sempre più difficile e che le stesse Forze Armate si rifiutano di riconoscere come evidente.

Dalla Lettera di Maria Grazia:

FIRENZE – 26 aprile 1992, nell’alloggio di servizio della villa del Bobolino, zona sud di Firenze, l’ingegnere elettronico dell’Aeronautica Militare, ten. col. Marco Burroni, viene trovato in fin di vita sulla sua poltrona con una ferita al torace, sparata da una certa distanza. Il medico intervenuto tenta la rianimazione per un tempo lunghissimo senza inviarlo all’ospedale di Careggi, dove lo aspettava in sala operatoria un chirurgo, amico del fratello, anche lui chirurgo, ma deceduto in un incidente d’auto 8 anni prima. Accanto a lui, una vecchia Beretta 7,65, trovata dalla POLIZIA SCIENTIFICA, con il caricatore parzialmente fuoruscito. Per l’uomo ormai non c’è più niente da fare: la carriera di un brillante tenente colonnello di 49 anni, ormai prossimo alla pensione, si conclude nel modo più tragico.

FlorenceCity: Questo il fatto, un uomo che trova la morte in circostanze molto particolari e che se pur fanno pensare, quanto meno, ad un incidente la scena viene invece considerata quello di un suicidio. A darne questa direzione è però un capitano dei Carabinieri semplicemente osservando la sciena e ventilando, non si capisce come, un passato di depressione.

Chi era Burioni? Sempre dalla lettera di Maria Grazia:

Burroni era stato appena trasferito in modo “sospetto” a Viterbo e quel giorno sarebbe dovuto partire per la sua nuova destinazione, tuttavia aveva già stabilito che, dopo pochi giorni, avrebbe fatto domanda di quiescenza (30 anni di servizio effettivo più 10 come figlio di un eroe di guerra, pluridecorato al valor militare), avrebbe avuto il grado superiore e la pensione da colonnello. La sua morte fu catalogata subito come suicidio da un capitano dei carabinieri che non aveva alcun titolo per farlo e senza che fosse effettuata né l’autopsia né perizia balistica né altri accertamenti. Maria Grazia Evangelista, la vedova, ha intuito fin da subito che quella frettolosa ricostruzione non era compatibile con quanto avvenuto, iniziando una sua personale ricerca.

FlorenceCity: Perchè non viene accettata l’idea del suicidio da parte di moglie e figlia? Solo per un rifiuto mentale o esistevano “strane” circostanze che non solo non venivano vagliate, ma nemmeno prese in considerazione nonostante si dovessero attuare in un caso dubbio? Inoltre la dinamica psicologica di un suicidio non sussisteva. Sempre dalla lettera di Maria Grazia:

Era tutto pronto per la partenza quando mia figlia 17enne, che dormiva nella camera adiacente al salotto dove è avvenuto il fatto, si svegliò, verso le 7 di mattina, per aver sentito il padre lamentarsi. La cosa anomala è che non aveva sentito lo sparo come invece sarebbe dovuto accadere con un’arma di quel tipo. Da quel momento gli eventi si susseguirono in modo rapido e frenetico: ambulanza, Carabinieri, polizia scientifica arrivarono in casa nostra. In quel momento mio marito era ancora in vita, anche se la ferita al torace sembrava profonda.  Accanto a lui, seduto in poltrona in accappatoio, una vecchia pistola appartenuta al padre: il verbale della polizia scientifica certificherà che il caricatore della pistola era parzialmente fuoriuscito dal vano di alloggiamento.  Si trattava di un’arma appartenuta al padre di mio marito che era stato un eroe di guerra. Era difettosa, per questo tra le prime ipotesi che dovevano essere fatte doveva esserci quella di un incidente: un colpo partito per sbaglio. L’esame esterno del corpo venne commissionato dal pubblico ministero ad una giovane ed inesperta dottoressa, appena specializzata in medicina legale: furono commessi degli errori grossolani che portarono poi alla richiesta di archiviazione del caso, con queste testuali parole: “…non può escludersi che il colpo sia partito ACCIDENTALMENTE dall’arma. Il magistrato aveva concluso, però, senza nessun tipo di approfondimento, senza nemmeno interrogare altri familiari per escludere che a sparare potesse essere stata una terza persona. Per farmi ascoltare dal pm dovetti  far intervenire un conoscente, magistrato del tribunale. Mi ero affidata anche a due avvocati penalisti, ma ottenni solo la conferma che il pm ritenva si fosse trattato di un incidente.

FlorenceCity: Ciò che inizialmente era una richiesta di approfondimento, una preghiera di verificare esattamente cosa era successo in quella stanza divenne progressivamente un sospetto che qualcosa di strano aleggiava intorno a questa morte. Tutti si rifiutavano di approfondire, senza una ragione apparente che fosse sostenuta da un minimo di logicità. Sempre dalla lettera di Maria Grazia:

Così decisi di proseguire da sola appena avuta in mano tutta la documentazione. Nella lettura delle carte dell’indagine Maria Grazia scopre errori piuttosto vistosi ed ulteriori anomalie che racconterà poi con nel libro “Intrigo all’Air Force“: la vicenda del marito viene ambientata in America mettendo in forma parzialmente romanzata quello che aveva scoperto. «Sono stati commessi svariati errori sul colore dell’accappatoio di mio marito, sulla descrizione delle condizioni della stanza e sul tipo di ferita.  Ho chiesto di studiare il caso a due medici legali e ad un perito balistico di fama. Volevo solo la verità, non c’era da parte mia alcun interesse economico. Ho chiesto la VERITÀ: non c’erano polizze d’assicurazione o altri motivi d’interesse!

FlorenceCity: Non solo un libro, ma gli sforzi di Maria Grazia nel cercare la verità su quest’episodio la facevano muovere in ogni direzione, sia all’interno dell’Aeuronatica Militare, sia presso gli ordini dei medici. Sempre dalla lettera di Maria Grazia:

Due anni dopo la morte di mio marito, sulla base di questi nuovi rilievi, l’Ordine dei Medici di Firenze mi ha  rilasciato un documento nel quale conclude che la perizia commissionata dal pm, “soccombe ed è pienamente confutata sul piano morale e legale dal parere espresso dagli altri professionisti”, non si era trattato di un suicidio, bensì di un INCIDENTE. In parte avevo ottenuto quello che volevo, cancellare l’ombra del suicidio dal nome di mio marito ma con l’Aeronautica mi sono scontrata con un muro di gomma.

FlorenceCity: Infine come i dubbi continuano ad aleggiare non dando pace ai familiari e nemmeno alla memoria di Burroni. Sempre dalla lettera di Maria Grazia:

Perché si ha la sensazione che di questa storia non si voglia più parlare? Quali erano state le reali motivazioni di quell’improvviso trasferimento a Viterbo dove il ten.Col. Burroni, nonostante le sue importanti qualifiche, si sarebbe dovuto occupare dell’addestramento delle reclute? Possibile che un colpo di pistola che doveva essere fragoroso non sia stato avvertito né dalla moglie né dalla figlia che dormivano nelle stanze adiacenti, possibile che non siano state fatte l’autopsia, la perizia balistica e il prelievo dei residui di sparo e non siano stati conservati i fluidi corporei né gli indumenti? Una morte sicuramente anomala, come troppo spesso accaduto in casi che hanno riguardato appartenenti al mondo militare. Si è trattato davvero di un incidente od è ipotizzabile anche un omicidio? Non lo sapremo forse mai vista l’assenza di approfondimenti. «Marco era molto riservato sulle vicenda lavorative, non possiamo sapere se possa essersi imbattuto in qualche situazione rischiosa. Visto quello che è accaduto e come tutto è stato chiuso frettolosamente, è una ipotesi che non possiamo escludere».

FlorenceCity: Vorrei concludere questo ricordo con alcune considerazioni, alcune dedotte, altre suggerite nel dialogo con amici appassionati di cold case che ho coinvolto nell’espletare un ragionamento sul caso.

Le prime considerazione riguardano il suicidio.

FlorenceCity: Una persona che si suicida, specie se è una persona che conosce le armi non si spara al torace, cerca la testa novantanove volte su cento perchè sa che sparando al torace si rischia una morte iniqua, con stenti e sofferenze, come infatti è successo a Burroni. Di solito i suicidi lasciano trasparire il disagio psicologico, mentre invece il Burroni non solo si comportava normalmente, ma addirittura pianificava la sua vita e quella della famiglia nei mesi a venire. Non è stato trovato nessun biglietto di addio che non è regola, ma è estremamente frequente in questi casi.

Poi vengono le considerazioni sulla situazione.

FlorenceCity: Cosa ci faceva in piena notte, o il mattino presto, il Burroni in salotto e soprattutto perchè con una pistola in mano? Se si esclude il suicidio si può pensare ad un incidente, magari pulendo la pistola, ma il Burroni non la stava pulendo. Che ci faceva allora di notte con una pistola in mano? Aspettava qualcuno?

Come è possibile che un’arma, per quanto vecchia, sganci il caricatore cadendo? Un evento che magari può succedere durante un’affrettata pulizia della superficie che determina la pressione sul bottone di sgancio? Come è possibile non aver sentito un colpo di un’arma come una Beretta 7.65 da guerra?

Non si tratta di una pistola come una 22 che magari emette detonazioni simili a schiocchi, questa pistola esplode dei colpi molto fragorosi, a meno che non sia silenziata. “La seconda questione è che se non sono state fatte prove balistiche potrebbe essere stata un’altra 7,65 a sparare, guarda caso un’arma militare. L’ipotesi è che l’uomo sia rientrato con un “amico” e si sono messi a parlare in salotto. L’amico ha sparato con una pistola silenziata e, sapendo della vecchia arma l’ha lasciata lì come depistaggio.” (Giuseppe Di Bernardo (giallista fumettista)).

Se era un’arma militare, probabilmente era una 7.65 Parabellum che rispetto alla ormai nota Beretta serie 70 in 7.65 normale fa il doppio del casino, magari una Walther P38 per esempio. Quella, di notte, la senti sicuro.” (A.B. esperto di armi)).

Forse voleva veramente manipolare l’arma? “A volte le pistole vengono prese per mettere in movimento i meccanismi, specialmente quando sono vecchie. Scarrellare l’arma, premere il grilletto per verificare se la pressione da esercitare sia normale, togliere anche le cartucce dal caricatore per dare modo alla molla di riprendere elasticità e controllare se le cartucce non si siano deformate.” (Francesco Silvestro).

Infine delle considerazioni sulle indagini.

FlorenceCity: Possibile che per accertare se realmente siamo di fronte ad un suicidio non si esegua una verifica delle polveri esplose sulle mani del defunto? Un guanto di paraffina. Possibile che alle rimostranza della famiglia non si eseguano delle prove balistiche per stabilire se il colpo è uscito dalla canna di quella pistola o di un’altra?

Possibile che un referto autoptico definisca “…una certa distanza.” senza dare informazioni più complete? “Per decidere se il colpo è stato sparato da una certa distanza mi sembra che si ricorre alla morfologia del foro di ingresso e soprattutto alla presenza dei vari aloni. Indicativamente si ha

A 5-10 cm cessa l’effetto della fiamma.
A 10-15 cm non c’è ustione.
A 5-20 cm non c’è affumicatura.
A 25-40 cm non c’è tatuaggio.

Occorre però tenere conto della presenza e del tipo di abiti indossati.” ( Luca Scuffio Diprato).

FlorenceCity: Queste considerazioni sono venute tutte fuori in una semplice discussione fra amici dove io ho solo fornito gli elementi base per eseguire una valutazione, eppure la discussione si è snodata arrivando ad esprimere gli stessi concetti che per anni hanno assillato Maria Grazia, quesiti che però gli inquirenti non si sono posti nemmeno per 5 minuti. Cosi difficile per le Forze Armate decidere di riabilitare il buon nome di un loro ufficiale? Lascio a voi le conclusioni e i ragionamenti.

Jacopo Cioni
Jacopo Cioni
Maria Grazia Evangelista

 

 

Marco Burroni, cronaca a Firenze. Un caso mai chiarito.

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