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A buo pillonzi

Secondo la tradizione contadina, nella città di Vinci, luogo d’origine del celebre Leonardo, erano stati costruiti dei grandi lavatoi comunicanti tra loro, alti all’incirca un metro da terra e riempiti d’acqua a metà. Queste grandi tinozze venivano chiamate “pilloni”.
Le popolane che si recavano a fare il bucato erano obbligate ad appoggiarsi al bordo dei lavatoi e a chinarsi a novanta gradi verso l’interno per poter raggiungere più facilmente il livello dell’acqua. In questa posizione le donne ostentavano involontariamente i loro sederi che per di più dimenavano mentre strofinavano il sapone e risciacquavano i panni.
Lo spettacolo era garantito e l’umorismo e le battute maliziose degli uomini che assistevano alla scena erano scontate. Le battute più comuni erano: “stanno a culo ritto” o ancor peggio: “stanno a buco ritto”. Quest’ultima arguzia, associata al nome dei lavatoi (pilloni), è stata nel tempo storpiata in “a buco pillonzi”.
Oggi la frase viene usata per tutti coloro che per qualsiasi ragione e a qualunque titolo si trovano “metaforicamente” in quella critica e rischiosa posizione, ovvero chini a novanta gradi.

Adagi con Brio di Franco Ciarleglio

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Franco Ciarleglio

A BUCO PILLONZI.
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3 pensieri su “A BUCO PILLONZI.

  • 9 Aprile 2019 alle 9:34
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    I miei nonni, pisani, dicevano “a buo punzoni”.

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  • 28 Marzo 2017 alle 11:55
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    In antico abruzzese quella posizione veniva definita “a cule cuvacchie”, ma non sono mai riuscito a spiegarmi il significato, ne’ etimologico, ne’ semantico.

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    • 28 Marzo 2017 alle 13:06
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      Caro Enrico, se era fiorentinaccio o toscanaccio facevo intervenire Franco Ciarleglio che è un pozzo di conoscenza in tal senso, ma in abruzzese… 🙂

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