DISAVVENTURA DI UN LAMPIONAIO

Il nonno della mamma, che tutti i parenti chiamavano il “pipa”, probabilmente a causa del vizietto di farsi una “tirata” durante i rari momenti di ozio, era stato anni addietro un bel moretto ardito e intraprendente che di vizietti ne aveva avuto pure un altro: quello di mettere al mondo un incredibile numero di figlioli. La pagnotta era una e le bocche da sfamare crescevano ogni anno per cui il cibo pro capite era sempre più scarso e le bocche dei figlioli sempre più voraci.

Faceva di mestiere lo scarpaio, ed era così attento e perfezionista nel “creare” capolavori di stivaletti e tomaie che i tempi di realizzo erano lunghi e macchinosi e il prodotto non copriva quantitativamente l’introito. Per cui aveva messo da parte la sua creatività e aveva ripiegato sul lavoro di verduraio, che lo vedeva recarsi col barroccio ai mercati generali di buona mattina per andare a vendere la frutta e far fronte alla meno peggio alle esigenze della famiglia.

Ma anche questo non bastava a far quadrare il bilancio e allora il “pipa” si era trovato un altro lavoro da fare nelle ore in cui non vendeva la verdura al mercato: quello del lampionaio, più pittoresco, ma non certo meno duro.

Alzata alle prime luci dell’alba e spegnimento dei lampioni lungo il percorso assegnato, recupero del barroccio e al mercato centrale per il carico giornaliero della frutta e della verdura, quindi ritorno a casa a posare il barroccio, cambio con la gabbana, gli attrezzi del mestiere e via a dar luce, dopo il tramonto, alle strade di Firenze che cedevano al buio.

Tutto questo interrotto da una notte di riposo stitica di ore e di coniugali intimità, fra letti e bambini coricati di testa e di piedi, in quell’unica stanza che alla Ada, la più grande, rivelava, nel sussurro stanco e rassegnato della mamma: ENRICO…. ANCHE STASERA… – i misteri maliziosi di una realtà peccaminosamente consumata nel buio.

Il percorso che al nonno era stato assegnato era quello all’ingresso del Viale dei Colli, il primo tratto che sale da Porta Romana e che saluta la parte popolare della città per ritirarsi in una macchia di verde “elitaria” costituita da ville e giardini. L’accensione procedeva con ordine e via via che la sera si faceva più scura le fiammelle del gas nel vetro dei globi stagliavano più nitidi i loro contorni rischiarando di deboli aloni l’asfalto della strada e il bordo ormai deserto dei marciapiedi a lato.

Il nonno camminava, sicuro, conoscendo il percorso oramai a menadito. Incontrava routinariamente i lampioni con le loro colonnine di ghisa, come tanti signori seriosi e habitués in sosta nella loro passeggiata vespertina, e quel guizzo di vita che il suo stoppino dava loro pareva lo scambio di un saluto tra vecchi amici.

Una sera che di Luna non c’era un bel niente, il buio era più fitto e la luce dei lampioni non rischiarava più in là del loro contorno, il nonno saliva come sempre indovinando il cammino, quando una fascia diafana di luce gli si era improvvisamente parata davanti, con un guizzo che aveva spezzato l’oscurità e che piano dilatava dal terreno, salendo sui tronchi e sui cespugli adiacenti, come un respiro nebuloso e ialino.

Prima ancora che avesse potuto spiegarsi la causa di quello strano fenomeno, ecco che dalla estremità più bassa di quel rettangolo era parsa prender corpo una condensa scura che, gonfiandosi nel vano più dilatato della luce, aveva piano piano messo a fuoco i contorni assumendo la forma di una figura umana. Il profilo disegnava chiaramente le curve morbide di un busto femminile, il braccio piegato in avanti all’altezza del seno, e qualcosa nella mano di bianco e nebuloso che sfaldava tremolante i contorni delle dita. Raggiunta la volta di quell’arco di luce e dilatandosi tutta nello spazio chiaro, aveva preso poi a scendere piano verso la parte opposta della strada e a perdere lentamente il nitore dei contorni fino a rimpicciolire ed annullarsi nella macchia buia dei cespugli.

Il nonno era rimasto senza fiato, immobile nel buio e nel silenzio della sera, con la sola compagnia dei battiti del cuore che parevano scandire, rapidi e profondi, il turbamento che lo stava assalendo.

– Scherzi del vino un’ lo sono davvero! – si era subito detto. Il vino a casa si beveva la domenica e l’acqua di cannella non dava le traveggole; e allora? Dietro a lui l’ultimo lampione buttava il suo bel cerchio di luce sulla strada e poco avanti era visibile la sagoma del prossimo . Si era guardato intorno…… nulla, il solito buio, il solito respiro delle foglie sugli alberi e i contorni delle ville e dei cancelli, come schizzi a carboncino sullo sfondo del cielo.

Gli ripassava davanti come un film la sequenza di quella apparizione e più cercava di spiegarsela con plausibili ragioni, omettendo volutamente la evidenze più inquietanti, più aveva avanti agli occhi la indubbia compattezza di quel corpo femminile levitante nella luce.

Quella sera aveva chiuso il suo lavoro proibendosi di pensare e a casa si era ficcato subito nel letto, scarso di velleità e a buon vantaggio della nonna. Ma all’alba, rimettendosi in cammino per rifare il percorso e spegnere i lampioni, avrebbe dato un’occhiata più attenta al fatidico punto della sua disavventura. Al nascere del giorno, mentre il chiarore stemperava il buio della notte e via via ristorava la città di luce, il Viale dei Colli appariva assonnato, fra rari sbadigli di persiane riaperte e timidi rumori e latrati di cani.

Arrivato alla meta e spento il lampione, il nonno aveva preso a guardarsi intorno. Esaltato dalla luce di quel primo mattino, il paesaggio era un sereno quadro primaverile e i merletti che il sole ricamava sulla strada, filtrando tra il fogliame degli alberi, planavano su un asfalto del tutto normale, sopra cui all’apparenza “nulla” aveva strisciato, se non qualche nottambula carrozza o timidi uccellini in cerca di cibo.

– Avrò preso un abbaglio…..- si era detto, pur con poca convinzione, ma quando a sera, tornato dal mercato e pronto nuovamente a ripercorrere il tragitto si era mosso esitante sul primo tratto del viale, sembrava che il tramonto sottraesse con la luce anche l’umore spavaldo che il nonno si era imposto.

Via via che saliva e accendeva i lampioni, il buio scendeva e spegneva la strada. Quasi giunto al fatidico punto, il nonno cercava di darsi coraggio…. Una volta che era uscito a spegnere i lampioni si era imbattuto in un povero diavolo, impiccato e dondolante dallo stelo di ghisa, eppure non aveva perso il suo sangue freddo e raccontava con orgoglio ai nipoti d’aver subito avvertito la gendarmeria senza il minimo accenno di pavidità… E allora? Via un passo, via un altro, una scrollatina di spalle e un passo ancora, e proprio mentre stava ridendo fra se per un pericolo assurdo e campato per aria, ecco che quello strano bagliore di luce gli era apparso improvvisamente di nuovo davanti ai piedi.

l nonno era rimasto fermo sulla strada, le gambe bloccate, il sangue in subbuglio. In un angolo acuto la luce si era aperta come la sera prima e come sulla scena di un teatro, un’ombra femminile era uscita da una quinta per recitare la sua lenta passeggiata, soffocarsi nella luce e sparire dall’altro lato. Qui o sono io che divento minchione, oppure sento puzza di bruciato – si disse il nonno raggelando quando il buio tornò a scendergli davanti. Che pensare se non ad oscure presenze o ad una povera anima senza Dio, condannata a vagare sulla terra, bisognosa di preghiere e di misericordia?

Passò oltre e riprese l’accensione dei lampioni e a casa si guardò bene dal raccontare l’accaduto alla moglie, santa e cristiana donna timorata di Dio. Ma quell’anima in pena gli forava il cervello e per quanto cercasse di levarsi il pensiero, una inquietudine maligna e sottile principiava a insinuarglisi dentro e a crescere via via che passavano le ore . Si sarebbe ripetuto anche stasera, e anche la sera appresso, quello strano e inquietante “appuntamento al buio” al quale ormai sembrava dovere sottostare?

E infatti si ripeté, e quella sera, e poi la sera ancora, sempre alla stessa ora e sempre con il solito, arcano cerimoniale. Ma il nonno non era uomo da lasciarsi abbindolare. La vita lo aveva abituato alla realtà trita di tutti i giorni, dove la fame è fame, e il lavoro è fatica. Tutto quanto sapeva di ultraterreno lo lasciava perplesso e reticente. Per tutto ci dev’essere un perché, si disse infine, e questo scherzo da prete o da satanasso si doveva spiegare!
” E se arrivassi io prima di te, cara la mia signora? – si disse a un certo punto.- Si deve aver paura dei vivi, non dei morti. Quelli non hanno fatto mai male a nessuno…… Per cui, il giorno prescelto, anticipò l’uscita di una buona mezz’ora e quando arrivò al punto dell’incontro, s’acquattò dietro un cespuglio e cominciò l’attesa.

Per quanto piano cominciasse a fare buio, la visuale era completa e distinta, e ciò che all’occhio perdeva di nitore al nonno si era tutto stampato nella mente, come un bel panorama dal Piazzale sotto la Luna. Battevano i minuti e batteva il suo cuore, più forte dall’emozione che dalla paura.

Meno quattro, tre, due, uno…. Trattenendo il respiro piantò gli occhi sulla strada, ma non trovandosi in mezzo bensì dalla parte opposta, ecco che alla finestra di una villa di fronte cominciò ad agitarsi un debole chiarore. Gradatamente la luce aumentava di intensità fino a che dietro i vetri e tutto illuminato, il profilo di una donna con la candela in mano apparve in tutta la sua carnalità. La luce dalla bugia batteva sul vetro rifrangendosi per uno strano fenomeno fisico proprio sul tratto del viale sottostante, e passando la donna lentamente da quella stanza ad un’altra contigua, via via che usciva dal quadro della finestra, anche la luce della candela passava con lei e moriva piano piano sul selciato e nel buio.

Il mistero era stato, finalmente, risolto. Nulla di demoniaco, di arcano, di spettrale. Solo il metodico percorso della custode di una villa che, prima di andare a dormire, passava con la candela a controllare ogni stanza. Da quella sera il nonno non si era fatto più turbare, anzi, quell’improvviso chiarore sulla strada si era fatto quasi un vero appuntamento per lui con quella sconosciuta che, ignara del trambusto, faceva il suo servizio con scrupoloso rigore.

Le mandava, divertito, un “buona notte” col pensiero e sollevava, pronto, lo stoppino per il prossimo lampione da accendere sulla strada. Divertito, si, e forse un po’ deluso di non avere, per una volta, dato alla sua vita una velo meno grigio di monotonia.

Alessandra Mazzoli
Disavventure di un lampionaio
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