Sergio Flaccomio è nato nel 1915 a Milano, ma ha vissuto gran parte della sua vita a Firenze e in Toscana, non a caso spesso e volentieri nel suo libro usa degli intercalari tipicamente toscani.

Nel 1935 il fiorentino adottivo entra a fare parte dell’Aeronautica Militare Italiana come ufficiale pilota. Nel maggio 1942 fino al febbraio dell’anno successivo in pieno Secondo Conflitto, lo troviamo in Africa Settentrionale, dove fa parte del 50° Stormo d’assalto. Successivamente diviene istruttore di volo e capo pilota delle scuole di pilotaggio.

Decorato con una Medaglia d’argento e una di bronzo al Valore Militare e tre Croci di guerra; ci lascia le sue memorie in “I Falchi del deserto” e in “Obbedire e combattere”.

Mentre gli inglesi nel deserto volavano già sui loro caccia Curtiss ed Hurricane, il nostro Flaccomio ancora operava su un Fiat C 42, ottimo velivolo per carità, ma si trattava di un biplano in legno, lamiera e tela, eredità del Primo Conflitto. Con una concezione di volo ormai superata, l’aereo era dotato di uno scarso  equipaggiamento, tutto era in mano alla bravura e all’istinto del pilota. La strumentazione di bordo era imprecisa e insufficiente, affiancata da armi poco potenti. Il pilota era ancora esposto alle intemperie, era allo scoperto, perché non protetto da un cupolino in vetro ormai facente parte della normale dotazione di ogni velivolo. Durante la battaglia d’Inghilterra molti di questi aerei spediti dal Duce verso il nord Europa, si persero proprio a causa della scarsa strumentazione e rimasti senza carburante non arrivarono a destinazione atterrando nei luoghi più disparati. Durante i duelli aerei la loro mitragliatrice si inceppava facilmente, mentre lo scarso calibro (12,7) era completamente inutile ed inoffensivo sulle fortezze volanti. A volte poi il meccanismo di sincronia per sparare attraverso le eliche si inceppava, e i nostri colpendo la propria elica, finivano per abbattersi da soli… Insomma degli eroi consapevoli di avere scarse probabilità di rientrare alla base dopo ogni missione.

Nel libro “I Falchi del deserto” con un approccio molto romanzato, poetico e godibile, Flaccomio descrive le sue esperienze in Africa, alcune divertenti, altre tragiche. Ci parla delle sue folli evoluzioni sul suo mezzo, di come addestri il suo gregario, della faticosa e rischiosa scorta ai convogli navali, dei duelli aerei contro aeroplani nemici nettamente superiori. La sua viva descrizione di una tempesta di ghibli è qualcosa di veramente poetico; così come la narrazione sulle relazioni con i nativi e i buffi commerci fatti con i locali attraverso scambi e baratti. Triste e toccante il racconto sul povero ultimo arrivato, un gioviale, allegro, determinato e dotato giovane aviere, che muore però molto, troppo presto. Il racconto termina con il commovente incontro di Flaccomio con la giovanissima vedova, descritta come una bambina, silenziosa, sofferente e già madre di un orfano. Altra triste storia è quella che vede un suo gregario rimanere gravemente ferito. Flaccomio si impegna però grazie alla sua autorità (e a delle velate minacce), a far rimpatriare nella speranza che possa usufruire di cure migliori rispetto a quelle discutibili a disposizione negli inappropriati e sguarniti e roventi accampamenti medici desertici avvolti da polvere e sabbia. Divertente invece l’incontro con le signorine del postribolo locale, dei balli e delle conversazioni intrattenute con loro. Vive le descrizioni degli attacchi e dei mitragliamenti effettuati sulle truppe nemiche, miranti però a colpirne scrupolosamente i soli mezzi, salvaguardandone gli occupanti.

Un fiorentino acquisito che dubito molti conoscano. Semmai trovaste il tempo e il desiderio di leggere le sue pagine (i suoi libri si trovano usati a buon prezzo), scoprireste un personaggio alla mano, schietto, sincero, simpatico, dalle quali parole si può avere una visione della guerra realistica, ma priva di odio, una testimonianza onesta e di prima mano, fruibile e diretta, scritta come fosse un romanzo avvincente e coinvolgente, che riesce a parlare della guerra, ma anche dei rapporti interpersonali, dell’amicizia, del rispetto, del coraggio, dell’onore. Il tutto arricchito da una forte dose di emozioni e di passione, ma soprattutto impregnato di reale vita vissuta.

Il nostro autore si salverà e finirà i suoi giorni nella campagna toscana. Tra animali da allevamento e campi arati, si dedicherà ai lavori agricoli, sempre buttando un occhio verso l’alto al solo avvertire il lontano rumore di un motore, per poter ammirare il volo dei moderni velivoli passare sulla sua testa, provando una certa malcelata invidia e una grande nostalgia.

Riccardo Massaro
Sergio Flaccomio e il Fiat C 42

4 pensieri su “Sergio Flaccomio e il Fiat C 42

  • 27 Dicembre 2023 alle 10:02
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    Lessi “i Falchi del Deserto” molti anni fa, fu un libro che mi rimase nel cuore tanto lo trovai vero ed autentico.
    Rimanendo nello spirito del bell’articolo, raccomando a tutti gli appassionati di aeronautica e non la lettura del libro, dove già delle prime venti pagine, bellissime, si evince come combattessero i nostri piloti in quei lontani cieli africani

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  • 21 Gennaio 2023 alle 0:06
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    Questo articolo è scritto con vera passione, complimenti! La differenza fra gli aerei nostrani e quelli dei nemici mi ha fatto sorridere, ma c’era poco da ridere lassù dove si sparava ed atterrare era un’utopia…..
    Grazie dell’articolo!

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  • 14 Gennaio 2023 alle 12:53
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    Grazie! È un piacere sapere di trovare persone appassionare come me! Avevo ordinato l’altro libro, Credere e obbedire sempre dello stesso autore… Ma è andato perduto durante la spedizione… Proverò a riacquistarlo più in là… A breve uscirà un articolo su Mario Fiorentini e l’attentato di via Rasella a Roma…

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  • 14 Gennaio 2023 alle 11:09
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    Complimenti, bell’articolo!!
    Ricordo di aver letto molto anni fa “i falchi del deserto”, che tuttora possiedo, ereditato insieme alla collezione di libri di mio padre, grande appassionato e studiosi di storia militare.
    Questo articolo mi ha fatto venire voglia di rileggerlo…

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