Il primo vero e più importante monastero in Italia fu quello di Montecassino, voluto da San Benedetto da Norcia ed edificato nel 547. Fondatore dell’Ordine dei benedettini, fu proprio lui a scriverne la Regola. Il suo ordine si diffuse in tutta Italia fondando numerosi altri monasteri.
Ma come vivevano i monaci? La loro giornata era divisa in tre parti uguali: una destinata al lavoro; una alla preghiera e l’altra a riposo. Vivevano generalmente una realtà separata da quella del tessuto sociale e spesso non era coinvolta dalle vicende esterne. Oltre a coltivare e a disboscare, cercavano di tenere in buono stato strade e ponti della zona per garantire una buona circolazione e il commercio. Organizzavano poi dei mercati e promuovevano attività artigianali.
L’ordine e i monasteri erano ben organizzati ed autonomi. Avevano proprie cucine e un forno per il pane, un orto dove coltivare sia le piante aromatiche che quelle medicamentose. Nella loro spezieria trattavano poi queste erbe, per preparare i loro medicamenti. Avevano delle stalle per ricoverare gli animali che allevavano ed una struttura ricettiva per pellegrini ed ospiti. Ovviamente non poteva mancare una biblioteca sempre molto fornita, dove monaci preparati trascrivevano e conservavano i loro codici miniati.
All’interno del monastero vi erano spesso dei laboratori per il trattamento della lana, dei metalli, della ceramica e del cuoio, molto diffusi soprattutto nella zona di Firenze. Tutto questo garantiva una certa autonomia alla comunità e gli permetteva di compiere opere di carità per i bisognosi. Alacri lavoratori, adottarono il motto “Ora et labora”, prega e lavora.
I monasteri accoglievano poi anche gli orfani e i trovatelli, avevano delle proprie scuole in cui istruire questi ragazzi. Tra loro vi erano anche i novizi, figli di famiglie in difficoltà che i genitori portavano qui non riuscendo a mantenerli. Nei monasteri trovavano sicuramente una situazione migliore; potevano nutrirsi, farsi un istruzione e in seguito scegliere di prendere i voti.
Generalmente i monaci si astenevano dalla carne, dunque si alimentavano per lo più di pesce, così non mancavano nei monasteri delle grandi vasche per l’ allevamento ittico. Questa particolare abitudine alimentare creava però dei problemi, soprattutto a quei monaci che appartenevano alla classe agiata o nobiliare, abituati ad un consumo quotidiano di carne. Così all’interno dei monasteri si venivano a creare delle differenti classi sociali con le loro diverse abitudini alimentari.
La carica di abate e le mansioni più importanti erano sempre riservate ai figli dei nobili, così come l’occupazione amanuense, riservata ai monaci più istruiti. Gli altri, quelli di bassa estrazione sociale, erano preposti a lavori più umili.
Discendenti dei benedettini sono i camaldolesi, i vallombrosiani ed i certosini, questi ultimi ispirandosi alla regola benedettina, formeranno il loro ordine a San Brunone nel 1084, alla Chartreuse, vicino a Grenoble in Francia, diffondendosi poi in Italia ed arrivando a Firenze con precisione a Galluzzo, dove ancora oggi è possibile visitare la loro Certosa. La leggendaria pazienza dei certosini è ancora oggi ricordata, questa particolare virtù diede modo a questi monaci di creare i più belli codici miniati esistenti ed ancora oggi conservati.
Nei poderi legati ai monasteri prese vita e si diffuse tutta una serie di tecniche innovative tra cui: la bardatura del petto degli animali da lavoro, la ferratura dei cavalli, l’uso dell’aratro a vomere e dell’erpice, con la rotazione triennale dei terreni atta a renderli più produttivi, idearono macchinari per la tessitura e per movimentare le acque per uso agricolo. Tecniche che qui si svilupparono, ma che poi si diffusero in tutta Europa.
I cistercensi giunsero a Firenze nel 1233 provenienti da San Galgano per insediarsi alla Badia a Settimo, nota come abbazia di San Salvatore e San Lorenzo (badia è una distorsione popolare del vocabolo abbazia). Questo è uno dei monumenti fra i più eccelsi della Toscana e d’Italia. Ricolmo di memorie storiche ed artistiche, raccolta e protetta dentro delle mura si estende su una pianura alla sinistra dell’Arno che passa a breve distanza.
Solo più tardi i monaci si trasferirono in città ad Oltrarno nel monastero detto di Cestello, anche questo vocabolo altro non è che la semplificazione fiorentina del termine Cistercium. La chiesa di San Frediano in Cestello, che si trova in piazza di Cestello, nel quartiere Oltrarno a Firenze. L’edificio fu costruito sui resti di una più antica chiesa, il monastero di Santa Maria degli Angeli eretta nel 1450.
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Bellissimo questo argomento, di cui ignoravo molte cose.
Peccato che durante l’ultima guerra il Monastero di Montecassino sia stato raso al suolo e, purtroppo non assomigli più a quello della foto.
Per quano riguarda i certosini, non ho veduto solo codici miniati, ma anche la scultura. Ero in Spagna e non ricordo più il luogo. Ci fecero vedere i banchi dietro all’altare Maggiore dove sedevano per assistere alla S. Messa e ricordo di essere rimasta senza fiato nel vederne l’abilità, la minuzia dei particolari, incredibili. Leggendo questo bellissimo articolo(grazie a chi l’ha scritto con tanta dovizia di particolari)mi sono accorta di non essere mai andata alla Chiesa di Cestello. Vi andrò quanto prima. Grazie ancora!
Un altro ramo dei benedettini, non citato, sono gli olivetani ( v. San Miniato al Monte).
Per quanto riguarda i cistercensi prima di San Frediano erano in Borgo Pinti e poi si scambiarono con le carmelitane di Santa Maria Maddalena dei Pazzi.