La Banda Carità, prende nome da Mario Carità, cosi come la Banda Koch da Pietro Koch, entrambi reparti dei servizi speciali nati a Firenze e appartenenti alla Repubblica Sociale Italiana.

Particolarmente accanita verso i partigiani Toscani, la Banda Carità oltre la tortura non disdegnava di commettere attentati ed esecuzioni sommarie. Una loro tecnica era quella di infiltrarsi tra le bande partigiane per minarle dall’interno, conoscerne i progetti, gli appartenenti, i simpatizzanti e poterle così sgominare.

Ufficialmente nata a Firenze nel settembre del 1943 a seguito della liberazione del duce, godeva di ampia autonomia, ed era a tutti gli effetti considerata un ufficio investigativo al servizio del fascismo, infatti compariva nel libro paga ell’Ovra (opera vigilanza per la repressione dell’antifascismo). Tra i circa 60 appartenenti lo stesso Pietro Koch, che qui imparò qui il “mestiere” per poi esportarlo a Roma e Milano.

via Bolognese, villa Triste

Formata da tre squadre: la Squadriglia dei Quattro santi, la Perotti o Labbrata e quella degli Assassini, tutti supportati dalle SS. Al numero 22 di Via Benedetto Varchi a Firenze in un villino ovviamente confiscato ad un ebreo, aveva sede il loro ufficio, poi trasferitosi in Via Ugo Foscolo, in fine alla soprannominata Villa Triste.

Carità si opponeva e contrastava gli antifascisti, ma anche la vecchia classe fascista, ritenuta traditrice. I vecchi appartenenti al fascismo ovviamente disdegnavano lui e i suoi metodi, tanto da denunciarlo e fargli rischiare di essere arrestato.

Chi è di Firenze conosce via del Bolognese, ma forse non sa che tra il 1943/44 passando per questa strada avrebbe potuto sentire delle canzoni napoletane, le canzoni erano suonate al pianoforte da padre Ildefonso Epaminonda Troya, un monaco benedettino nazifascista. La musica serviva a nascondere le urla dei prigionieri torturati al civico 67 e che provenivano dagli scantinati della villa.

Negli scantinati vi era la sala preposta alla tortura e agli interrogatori, dove erano torturati partigiani, antifascisti sia uomini che donne. Chi cadeva nelle mani della banda rimaneva segnato a vita, sia fisicamente che psicologicamente dalle sevizie subite. Tra i torturatori vi erano spesso soggetti con turbe psichiche, ma anche assassini, ladri e stupratori. Durante le sevizie lo stesso Carità si divertiva ad entrare nella stanza facendo credere di voler ammorbidire i trattamenti, dicendo a voce alta che il prigioniero era pallido, o di non esagerare perché trovava il prigioniero particolarmente provato. Poi quando il prigioniero si rilassava, proseguiva le torture lui stesso ridendo e schernendo il poveraccio, investendo con pugni e calci, godendo di aver sadisticamente illuso il disgraziato.

Conosciuta come “Villa Triste” così  chiamata per i tragici avvenimenti che accadevano all’interno. In questo luogo, come in altri analoghi, le vittime venivano torturate e malmenate, trattate con scariche elettriche ai genitali, gli venivano strappate le unghie, rotti i denti e le ossa, ma venivano anche torturati psicologicamente tanto da portare alcuni soggetti alla follia. I più fortunati venivano fucilati o portati nei lager tedeschi.

Altra figura inquietante del gruppo era la cosiddetta mammà che in compagnia del marito e di due figli, fingeva pietà verso i prigionieri e mettendosi in contatto con le famiglie gli estorceva delle somme ingenti per poi fornire in cambio false informazioni sui reclusi.

Tra gli appartenenti al gruppo l’uso di droghe quale morfina e cocaina era scontato. L’assunzione di queste sostanze permetteva loro di oltrepassare il limite del possibile delle loro angherie, allungando notevolmente la resistenza ai turni di “lavoro”.

Con l’avanzata degli Alleati, il gruppo fuggì verso nord, non prima però di aver “prelevato” alla Banca d’Italia 55 milioni di lire e rubato i tesori e le proprietà conservati nella Sinagoga. La Banda continuò ad essere attiva a Padova fino all’Aprile del 1945.

Carità fu ucciso dagli americani durante un conflitto a fuoco, mentre cercava di fuggire, anche se la dinamica esatta è ancora un mistero. Pare si trovasse a letto con la sua amante, quando all’arrivo degli americani sparò con la sua pistola uccidendone uno per poi essere a sua volta colpito da una raffica di mitra.

I suoi “aiutanti”, furono o fucilati o condannati all’ergastolo.

Mario Carità già a 15 anni poteva già essere ritenuto un criminale, arrestato per aver sparato su un comizio elettorale, poi coinvolto in un omicidio, alacre squadrista. Grazie al suo laboratorio di riparazione radio a Firenze, città in cui viveva con la moglie, gli permetteva di scoprire e denunciare i suoi clienti che ascoltavano Radio Londra. Fu volontario nelle campagne di Albania e Grecia, ed era un noto cocainomane, fu anche al comando di un gruppo di SS italiane.

A Firenze esiste oggi largo Bruno Fanciullacci, lo slargo prende nome da un gappista, personaggio di spicco della Resistenza Fiorentina che qui fu torturato. Riuscì a fuggire dell’arresto, ma fu nuovamente catturato dalla Banda. Precipitò dal secondo piano dello stabile forse in un nuovo tentativo di fuga, o per suicidarsi disperatamente per evitare di subire nuovamente torture e sevizie. A  Fanciullacci venne concessa la medaglia d’oro al Valor militare alla memoria nel dopo guerra.

Riccardo Massaro
La banda Carità

2 pensieri su “La banda Carità

  • 1 Marzo 2020 alle 1:26
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    Siamo tutti molto fortunati ad essere nati dopo la fine della guerra e a non aver visto nè sentito i suoi orrori che spesso i nostri genitori hanno taciuto, ma di averli appresi dopo tanto tempo dai libri, dai films, dai racconti o ad essere andati sui campi di sterminio o più vicino a noi a S. Anna di Stazzema.
    E’ difficile perdonare ciò che stato fatto, ma proprio a S. Anna ho letto su una lapide una poesia o meglio una lirica, se così si può dire, scritta da quell’ineguagliabile giurista che è stato Piero Calamandrei fiorentino e padre della nostra Costituzione (insieme a tanti altre nobili persone come Giorgio La Pira, Sandro Pertini ecc.) che mi ha commosso e che induce, nonostante tutto, a perdonare….

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  • 29 Febbraio 2020 alle 21:08
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    mi piace che ci sia un vivace gruppo che tiene vive le storie i racconti della città.Sono di Colle val d’Elsa ma
    conosco e amo Firenze, se non ci fosse andrebbe inventata.

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