Sulle buchette del vino si scrive moltissimo, sono una curiosità che, (quasi), solo la nostra Firenze ci regala. Hanno tutte lo stesso stile, sembrano delle piccole porte e tutte erano chiuse da uno sportello di legno. Hanno tutte la stessa altezza, circa 40 cm., quella giusta per far passare un fiasco.

Al giorno d’oggi quelle che sono rimaste (e per fortuna non sono poche) sono state reimpiegate nei modi più fantasiosi… chi ne ha fatto una cassetta per le lettere, chi la pulsantiera per i campanelli, molte sono state semplicemente murate lasciando visibile soltanto la cornice, altre sono servite di stimolo a presunti artisti per disegnarvi i loro capolavori… in alcuni casi, ahimé, fanno da supporto per bottiglie o bicchieri vuoti!

   

 

 

 

 

 

 

Ma, lasciando a parte l’estro moderno, vediamo di ripercorrere la storia delle buchette.
Nel Cinquecento molte famiglie fiorentine di abili mercanti avevano acquisito terreni, a seguito di una contrazione del mercato soprattutto delle stoffe, dovuta alla concorrenza di paesi quali l’Inghilterra.

I Fiorentini pensarono bene di diversificare i loro investimenti, cominciando ad accaparrarsi immobili e terreni, che potevano mettere al riparo da crolli finanziari i loro capitali.
Trovandosi ad avere notevoli estensioni di terreno, con la scaltrezza che li contraddistingueva, pensarono bene di farli fruttare, impiantando vigne che avrebbero poi prodotto il vino, così amato.
Le buchette nacquero proprio in relazione a questo nuovo investimento nella produzione vinicola.
Con questo metodo infatti le famiglie di produttori avevano la possibilità di vendere direttamente “dal produttore al consumatore” i fiaschi di vino.
Il compratore si presentava davanti alla buchetta, bussava e gli veniva consegnato il fiasco pieno di nettare degli dei; questo consentiva di evitare passaggi intermedi, tipo le osterie, consentendo un ricavo maggiore al produttore.
Le buchette di solito avevano l’apertura sulla strada che corrispondeva alla cantina interna. La vendita era disciplinata da un rigido regolamento, che stabiliva gli orari in cui questa poteva essere effettuata.
Le buchette venivano assimilate alle celle.
Il regolamento decretava che nelle celle i vinattieri dovevano mescere il vino ai clienti in bicchieri o recipienti di una capacità precontrollata; agli stessi non era consentito vendere pane salato che avrebbe stimolato la sete e, al suono delle campane della sera gli esercizi e le celle dovevano sospendere il commercio.
Giovanni Villani nella sua Nuova Cronica ci ricorda che nel Trecento il vino entrato a Firenze era di circa 60.000 cogne (pari a 270.000 litri), e circa 90 vinattieri lo rivendevano esercitando mescita al minuto in celle e fondachi raggruppati specialmente in Oltrarno e presso il Duomo.
Solo due secoli più tardi nel territorio fiorentino venivano prodotti circa 215.000 barili di vino all’anno, per una stima di circa 85.000 ettolitri. Di questa immensa produzione, una parte veniva esportata anche a Prato.
Una curiosità: oltre al passaggio di vino direttamente dal produttore al consumatore, le buchette erano anche degli angoli dove erano raccolti generi di prima necessità offerti a chi più ne aveva bisogno.

Gabriella Bazzani
Come nacquero le buchette del vino.
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