Gli oliandoli facevano parte delle Arti Minori e si riunirono in una Corporazione nei primi anni del Trecento.

Come facilmente comprensibile dal nome, l’arte degli oliandoli comprendeva tutta la filiera dell’olio, dalla raccolta delle olive fino alla vendita finale. Per entrare nel dettaglio, facevano parte degli oliandoli i gestori di frantoi, i commercianti – all’ingrosso e al minuto – di olio, i venditori ambulanti che non soltanto vendevano olio, ma anche stoviglie e masserizie varie, girando per le vie cittadine con i loro carretti e gridando per richiamare l’attenzione delle massaie, e tutti coloro che avevano un “posto fisso” nelle piazze o ai canti delle strade per vendere olio e altri prodotti.

La corporazione degli Oliandoli scelse come protettore San Bartolomeo, che si festeggiava il 24 agosto. Inoltre, a dicembre, dopo la spremitura del nuovo raccolto, nella chiesa di Santa Maria degli Ughi, veniva offerto l’olio per alimentare le lampade votive della Vergine. Per il 15 agosto venivano donati dei ceri.

L’arte non possedeva una nicchia esterna in Orsanmichele, per cui decorò un pilastro interno, prima con un San Bartolomeo di Niccolò Gerini e in seguito con una tavola, sempre di San Bartolomeo, eseguita da Lorenzo di Credi.

Gli Oliandoli smerciavano l’olio entro i tipici “orciolini”, della capacità di circa 33 litri. L’olio della prima spremitura era destinato al consumo alimentare, mentre le successive spremiture, di qualità nettamente inferiore, erano utilizzate per fabbricare saponi e per l’illuminazione, il cosiddetto “olio lampante”.

L’illuminazione ad olio era infatti comune non soltanto nelle case, ma anche nelle strade, sui tabernacoli o sui principali edifici pubblici, come ad esempio il Palazzo dei Priori.

Ai tempi di Dante, la corporazione degli Oliandoli, oltre a disciplinare la produzione dell’olio di oliva, si occupava della tutela e rappresentanza degli iscritti all’arte e della formazione degli addetti ai lavori dell’olivicoltura. A Firenze esiste tuttora Piazza dell’Olio, che è il luogo in cui si teneva il mercato specializzato di questo alimento, tassativamente prodotto seguendo i dettami della corporazione.

Quali fossero questi dettami, è presto detto: raccolta a mano delle olive dagli alberi, operazione detta “brucatura”; le olive venivano messe in ceste di castagno legate alla cintola dei raccoglitori e portate al frantoio dove venivano frante, con grandi macine in pietra, provenienti dalla cava di Montici. La pietra di questa cava era particolarmente dura e quindi più adatta a questa operazione.

Firenze era ricca di botteghe specializzate nella vendita di olio, raggruppate specialmente nella zona del Mercato Vecchio e di Via Lambertesca; oltre a venir usato per scopi alimentari, l’olio veniva impiegato sia nella lavorazione dei tessuti (gli artigiani lanieri lo usavano per ungere e donare brillantezza ai propri tessuti) e per illuminare strade e abitazioni.

Questo accresceva il fabbisogno del prezioso oro liquido e per questo ben presto la Toscana si trovò ad avere una quantità di uliveti insufficiente per un’adeguata produzione di olio.

La “Tavola delle Possessioni” di Siena riporta infatti che all’epoca di Dante Alighieri risultava una insufficienza di uliveti rispetto alla domanda interna di “liquore di ulivi” (termine con cui Dante definiva l’olio); per questo le autorità imposero “per la negligentia de’ nostri lavoratori che non piantano et pongono ulivi”, ad ogni possidente e per ogni appezzamento di terreno per la cui lavorazione occorrano due buoi, la messa a dimora di due piante di olivo, quota che dopo poco tempo verrà raddoppiata.

Per i toscani l’olio di oliva era “una de le quattro cose più necessarie alla vita dell’uomo” e bisogna ringraziare il lavoro degli oliandoli se oggi la nostra regione può vantare un olio eccellente, conosciuto ed apprezzato ovunque.

Nel 1536 l’Arte degli Oliandoli, diventata abbastanza influente e che si era già unita con i Pizzicagnoli, si unì anche con i Beccai, una corporazione potente che racchiudeva al suo interno macellai, pescivendoli e gestori di osterie e taverne. Nel 1770, le soppressioni delle corporazioni attuate dal governo granducale, fecero confluire gli oliandoli, assieme a tutte le altre arti, nella nascente “Camera di Commercio”.

Gabriella Bazzani Madonna delle Cerimonie
L’Arte degli oliandoli.

2 pensieri su “L’Arte degli oliandoli.

  • 11 Giugno 2024 alle 2:46
    Permalink

    Molto interessante!! Grazie
    🙏😊🇮🇹

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  • 10 Giugno 2024 alle 13:29
    Permalink

    Sono un macellaio in pensione.

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