A chi non è venuta la curiosità di sapere perché in tutta Italia chiamano Profiteroles quello che invece da noi si chiama Bongo! La frase è volutamente provocatoria, sarebbe stato logico scrivere perché a Firenze si chiama Bongo quello che in tutto il resto d’Italia chiamano Profiteroles, ma se siamo noi il cuore della lingua italiana allora è il resto d’Italia che sbaglia e chiama il dolce in oggetto con un nome franzoso.

La domanda è però difficile e si è scomodata anche l’Accademia della Crusca per trovare il bandolo che ci riconducesse al perché.

Mi sono letto il bellissimo articolo di Neri Binazzi “Un dolce mal d’Africa: storia di bongo” che vi consiglio di leggere e da questo articolo cerco di estrapolare un messaggio più “volgare” per raccontarlo.

Prima di tutto chiariamo che non è un dolce nostro, lo faccio perché normalmente sono campanilista culinario e cerco sempre la radice fiorentina e toscana nelle ricette, ma in questo caso, questo dolce, non ha origine nostrane.

Come scrive Neri Binazzi: ” …i fiorentini tendono a collegare il nome – immediatamente percepito come un africanismo – al colore marrone scuro prodotto dalla coltre di cioccolata che avvolge interamente la composizione di bigné. Bongo, insomma, viene subito sentito come nomignolo antonomastico degli abitanti del “continente nero”, che verrebbe opportunamente assunto per indicare quello che a Firenze è, altrettanto per antonomasia, il “dolce nero”.

Corretto, un africanismo, ma perché? La Ricerca di Neri Binazzi non è stata facile e proverò a scriverne la sintesi e conclusione.

Puntualizziamo che il termine Bongo è comparso in forma scritta per la prima volta sul ricettario dei ricettari, dopo quello dell’Artusi, quello di Paolo Pedroni. Nel testo “Il libro della vera cucina fiorentina” del 1974 a pagina 68 conclude la sua ricetta dei bignè con “… Una volta cotti si potranno glassare e, con la siringa, riempire di crema, cioccolato o panna; potranno essere utilizzati anche per preparare un ottimo “Bongo“.

Il termine però non nasce da questa vergata letterale ma era nel lessico della strada ben da prima. Il Neri Binazzi ipotizza che il tutto si generi da un rischio di sovrapposizione di termini.

In pratica a Firenze e provincia, come d’altronde a Galatina in Puglia, esistono dei dolci chiamati “Africano” che consistono in uovo sbattuto con lo zucchero e cotto in forno sino ad ottenere una colorazione nocciola. Da questo colore assunto si generava il nome di questi dolcetti, un colore finale assimilabile al colore nocciola della pelle di alcuni africani. Allo stesso tempo era uso diffuso in tutta Italia indicare con “Affricana” (con due effe alla fiorentina maniera) una ricetta che consisteva in una sorta di “pasta collo zabaione dentro, e ricoperta di cioccolata“. Una sorta di anti-bignè. Era addirittura diffuso l’uso della parola “affricano” per indicare un qualsiasi dolce, torta o pasticcini, cosparsi di cioccolato.

Probabile quindi che a Firenze si generasse una sorta di corto circuito tra “affricana”, “affricano” e ancora “africano” che portava ad una confusione identificativa del dolce a cui ci si riferiva.

E’ quindi ipotizzabile che, alla fiorentina maniera, un mastro pasticciere ovviamente non identificato, abbia deciso di introdurre un termine non confondibile con altri dolci per il Profiteroles. Perché Bongo? Forse perché manteneva contemporaneamente l’associazione mentale con “affricana” e non dimentichiamo che nel 1947 andava di gran moda la canzone di Nilla Pizzi “Bongo Bongo Bongo“. Il termine è poi diventato di uso comune.

Un aggiornamento che ci arriva dopo la pubblicazione dell’articolo. Fernando Menichini ci contatta raccontandoci che il nome Bongo è nato da un suggerimento di suo padre Pietro Menichini. Il Signor Pietro lavorava come dirigente per il comune, e sia per motivi lavorativi che per amicizia, frequentava il padrone della ditta Saida, il Sig. Tofanari. La Saida al tempo aveva il laboratorio in via Pisana al civico 244. Agli inizi degli anni ’70 il Tofanari era con il Sig. Pietro presso il laboratorio durante la lavorazione del suddetto dolce e domandò al suo amico: “Che nome daresti a questo dolce?” Il Sig. Pietro rispose: “Bongo”. Il nome piacque e il dolce prodotto dalla Saida fu commercializzato con questo nome. Quindi adesso sappiamo chi era il mastro pasticcere sconosciuto e anche il suggeritore del nome.

Jacopo Cioni
Jacopo Cioni
Perché a Firenze si dice Bongo?
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2 pensieri su “Perché a Firenze si dice Bongo?

  • 6 Marzo 2024 alle 13:10
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    …e speriamo che i maniaci del politically correct non rompano i sacrosanti… Firenze e i suoi usi, non si toccano!

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  • 5 Marzo 2024 alle 10:50
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    Quando ero piccolo lo sentivo chiamare anche “le palle del Negus” certo termine politicamente corretto ma storicamente legato alla campagna coloniale del 1936 contro il Negus Haile Selassie

    Rispondi

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