Pier Capponi davanti a Carlo VIII di Bernardino Poccetti

Se Piero de’ Medici si giocò la Signoria di Firenze, costretto ad andarsene in esilio, per la sua accondiscendenza verso il re di Francia, Pier Capponi invece dimostrò tutto il suo coraggio nell’incontro con l’arrogante francese, al quale si oppose tanto convincendolo ad abbassare le sue pretese.

Carlo VIII di Valois nella sua discesa lungo la penisola Italiana, incontrò ad Asti, dove si era accampato con il suo esercito, i Duchi di Savoia che lo festeggiarono lungamente. Il Cardinale Giuliano della Rovere, Lodovico Sforza con la moglie, Ercole d’Este Duca di Ferrara, Giangaleazzo Sforza e la consorte Isabella D’Aragona. Lodovico il “Moro”, diventò in seguito Signore di Milano per la morte di Giangaleazzo, forse avvelenato dai francesi.

Dopo i festeggiamenti con i Signori che l’avevano agevolato nella sua discesa verso Napoli, il Re si preparava a percorre la via Emilia passando per la Romagna, ma la dichiarata ostilità di Caterina Sforza, signora di Forlì e Imola, lo convinse ad attraversare la Toscana e raggiungere il Lazio. Da Piacenza l’esercito francese passò da Fosdinovo. Li trovò un alleato nel marchese Gabriello o Gabriele II Malaspina, il quale avendo perso il paese di Fivizzano passato sotto la Repubblica Fiorentina (era appartenuto fino dai tempi antichi ai suoi avi, e voleva riprenderselo), lo condusse a quella terra della Lunigiana. Cinse d’assedio il paese, lo conquistò e venne saccheggiato dalle truppe francesi.

Continuò il suo viaggio verso Napoli, dirigendosi verso Firenze. La città era da sempre filofrancese, ma per la titubanza e l’incertezza politica del suo Signore Piero di Lorenzo de’ Medici, era passata dalla parte degli Aragonesi napoletani. Cacciato il Fatuo per incapacità, la Repubblica fiorentina agevolò l’invasione, anche per la paura del saccheggio da parte delle truppe francesi. Il Re era immaginato restauratore della libertà, e riformatore della Chiesa cattolica, il cui Pontefice Alessandro VI era considerato dal Savonarola indegno di sedere sul trono di Pietro. Ma Carlo non voleva inimicarsi le potenze europee detronizzando il Borgia così sopra sedette.

In un primo tempo si recò a Pisa, dove venne acclamato come liberatore. I pisani chiesero e ottennero dal Re di liberarsi dal dominio di Firenze. Riottenuta la sospirata libertà il popolo di Pisa, lo acclamò Signore e iniziarono a togliere dalla città tutte le statue del Marzocco portate dai fiorentini. La sera del 13 novembre i maggiorenti della città si recarono da lui per giurare di essergli fedeli per sempre.

Carlo entrato in Firenze dalla Porta a San Friano, a cavallo con la corazza, armato di tutto punto e con la lancia alla “coscia” per dimostrare la sua forza. Questo indispettì i fiorentini perché non rientrava nel cerimoniale concordato fra le due parti. Il corteo fra due ali di folla applaudente, giunse in Piazza della Signoria ma il Palazzo era chiuso. Proseguì fino al Palazzo Medici in via Larga, vi si installò e li ricevette i rappresentanti della Signoria. Il Gonfaloniere di Giustizia Pier Soderini e Pier Capponi, già filo mediceo e divenuto in seguito un accanito avversario di Piero il “Fatuo”. I fiorentini sarebbero stati favorevoli al pagamento di una forte somma di denaro, affinché i francesi lasciassero al più presto la città e proseguissero il viaggio verso il Lazio e Napoli.

La somma richiesta dal Re era cospicua, inoltre c’erano altre richieste alle quali non volevano dare corso. Carlo volle intimidire i rappresentanti della città pronunciando minacce: Noi suoneremo le nostre trombe! Volendo dire che il suo esercitò avrebbe conquistato e saccheggiata la città. E fu allora che Pier Capponi ambasciatore e condottiero con un moto di orgoglio, volle tenere testa al sire, e strappando dalle mani dell’Araldo reale il foglio dove erano segnate le richieste rispose: Se voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane! Intendendo chiamare il popolo a difesa della città. Il Sire capì l’antifona. Giorni prima vi erano stati piccoli scontri fra i soldati francesi e i fiorentini che mal sopportavano la loro presenza, e suonare le campane significava trovarsi impantanati in una guerriglia nelle strette strade che si prestavano agli agguati.

Carlo conoscendo il Capponi per averlo avuto come ambasciatore alla corte di Francia, trattò con lui amichevolmente. Le richieste francesi alla città vennero attenuate, e finalmente dopo 10 giorni di permanenza in una città malfidata, il 28 novembre l’esercito francese se ne andò sotto una pioggia scrosciante come se fosse stato di passaggio.

Il Machiavelli anni dopo nei Decennali volle raccontare come erano andati i fatti. Poi gli storici romantici descrissero lo scontro con versi aulici:

Lo strepitio dell’armi e dé cavalli

Non poté far, che non fosse sentita

La voce d’un Cappon fra cento Galli

Tanto che il re superbo fé partita.

Il Capponi dimostrò così tutta la sua capacità politica, e il coraggio di non sottomettersi alle richieste dell’arrogante Monarca, costringendolo a più miti consigli, a differenza di Piero il Fatuo, il quale dimostrò la sua incapacità a gestire una situazione complicata, e per paura si sottomise al francese.

Alberto Chiarugi
Pier Capponi e Carlo VIII Re di Francia
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