I delatori da che mondo è mondo ci sono sempre stati, non sempre hanno avuto la ricompensa che si sarebbero aspettati. I signori se ne sono serviti per sapere cosa ne pensava di loro il popolo e i nemici.

Firenze non faceva eccezione, se ne servivano sia il Comune che la Signoria. A tale scopo nel muro del palazzo del Bargello, c’era un tamburo, dove chi voleva poteva anonimamente lasciare, notizie o segnalazioni riferite a persone. I fiorentini dicevano, lasciando una delazione, si “tamburava” una persona o una istituzione.

Un prete della chiesa di Santa Maria Maggiore, per gelosia verso i frati di San Marco e del Savonarola, aveva lasciato nel tamburo del Palazzo podestarile, una delazione contro i frati. Aveva scritto che praticavano la sodomia, la simonia, l’usura e via dicendo. Quando questa segnalazione arrivò a chi di dovere, il Bargello volle sapere quanto c’era di verità nella spiata e chi ne era l’autore. Pertanto incaricò il capo dei Birri di indagare e riferirgli il risultato.

Dopo qualche tempo gli fu riportato quanto era emerso, seppe che l’anonimo delatore era un prete della chiesa di Santa Maria Maggiore e che quello scritto non corrispondeva alla verità. Malgrado la segretezza con la quale si era svolta l’indagine, il suddetto venne a sapere di una prossima visita dei Birri. Così una mattina, mentre all’altare diceva messa, li vide entrare e accomodarsi in disparte per aspettare la fine della stessa. Comprese di essere nei guai. Avevano indagato su quanto aveva segnalato e scoperto che non corrispondeva alla verità. I frati di San Marco erano risultati estranei alle accuse. Si sentì perduto, sapeva che cadendo nelle mani dei Birri, sarebbe stato torturato e forse ucciso.

Con questi pensieri nell’anima riuscì a finire la messa, poi mentre stava per andarsene in sagrestia fu raggiunto dalle guardie, legato e portato alla prigione. Lì venne torturato finché non confessò e si prese qualche annetto di prigione per meditare sul suo errore.

 

Un prete spione e sfortunato.
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