Il termine moderno “campana” deriva dal latino “vasa campana” che indicava dei particolari catini di bronzo tipici della zona partenopea, molto somiglianti alla forma delle campane. Fin dall’antichità il suono delle campane ha accompagnato, scandito e cadenzato la vita delle nostre città: i rintocchi regolavano le ore del giorno, si suonava per annunciare messe, matrimoni, morti, feste patronali, ma anche per allertare la popolazione in caso di incendi, forti temporali o altri pericoli imminenti. Tra tutte le persone che udivano il suono delle campane certamente quello che più ne subiva le conseguenza negative era il “campanaro”, cioè colui che materialmente tirava la corda per farle suonare e che ovviamente ne era a contatto più diretto. Infatti l’ascolto del suono della campana da una distanza troppo ravvicinata poteva creare dei seri problemi all’udito e spesso il povero campanaro accusava forti disturbi con lesioni anche permanenti all’organo uditivo al punto che il popolino aveva coniato il detto “sordo come un campanaro”, poi contratto in “sordo come una campana”. Pertanto la frase oggi assume il significato di non sentire affatto, essere completamente sordo, ma può essere anche rivolta a tutte quelle persone che intenzionalmente non vogliono sentire: “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!”.
(da “ADAGI CON BRIO” di Franco Ciarleglio, Sarnus Editore)

Franco Ciarleglio
Sordo come una campana

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