Dino Compagni mercante e politico, tenne una Cronica cittadina raccontando con rigore i fatti salienti.

Famiglia patrizia giunta a Firenze proveniente dai dintorni di Pisa alla metà del duecento, dove possedevano un castello. Si stabilirono nel popolo di Santa Trinita. I Compagni furono di parte Guelfa, e come tali parteciparono alla sanguinosa battaglia di Montaperti, dalla quale i fiorentini uscirono sconfitti, contro i Ghibellini fuoriusciti da Firenze al comando di Manente degli Uberti, dai senesi di Provenzano Salvani, e un congruo numero di cavalieri tedeschi mandati di rinforzo dall’Imperatore Manfredi.  La presenza in questa battaglia trova conferma nel ruolo dell’Arbia, dove si trova il nome di un famigliare: Vinta figlio dei Compagni del popolo di Santa Trinita combattente.

Come gli altri Guelfi dovettero andare in esilio, ebbero paura di perdere tutto quello che possedevano in Firenze, quando dopo la vittoria, in un consiglio ad Empoli i Ghibellini chiesero all’Imperatore di distruggere Firenze e di fare Empoli la principale citta della Toscana. Ma lo spavento fu di breve durata perché Manente degli Uberti, chiese a Manfredi di soprassedere dicendo che avrebbe difeso la città contro tutti, e Firenze fu salva. I Guelfi poterono rientrare in città, dopo la sconfitta e la morte dell’Imperatore a Benevento nel 1266.

I Compagni potettero riprendere possesso dei loro averi e tornare a praticare le loro attività di commercio. Dino Compagni (Aldebrandino, o Ildebrandino, detto Dino) il più famoso della sua famiglia nacque forse verso il 1246/47 da Compagno di Perino e da una figlia di Manetto Scali. Non si conosce niente dei suoi studi, è conosciuto come politico, e per la sua “Cronica delle cose occorrenti né dei tempi suoi” e un poema allegorico “l’intelligenza”. Nella Cronica si trova una preghiera che i fiorentini Guelfi in esilio recitavano: “Deh, tu voglia Signore Iddio, disperdere e sradicare la stirpe degli Uberti” a dimostrazione dell’odio che avevano verso Farinata.

II Compagni in una occasione particolare, venne incaricato di scrivere una lettera per conto dei Priori, benché non avesse nessuna carica politica. In questa missiva si viene a conoscere la sua formazione grammaticale, retorica, e conoscenza delle arti. Molta di più di quella posseduta da un qualunque mercante. Con il fratello Guiduccio risulta iscritto nella matricola dell’Arte di Por Santa Maria. Nell’anno 1286 rinnova il giuramento insieme al fratello, al Convento dell’Arte di Calimala. Console della stessa Arte per un semestre degli anni: 1282, 1286, 1289,1291, 1294, e 1299. Guiduccio divenne Console della stessa Arte nell’anno 1297.

Dino è un mercante, possiede un banco d’affari con suo figlio Niccolò. Entra in società con i Bardi e i Peruzzi, rischierà come loro il fallimento, quando il Re d’Inghilterra Edoardo III non restituì la astronomica somma (per allora) 125.00 sterline, avute dai banchi fiorentini, per combattere la guerra dei Cent’Anni contro la Francia. Ma poté salvarsi dal fallimento con i guadagni ottenuti con le sue opere letterarie.

Era Gonfaloniere nel 1293, quando Giano Della Bella, tentò di togliere il potere ai Magnati, per dare migliori condizioni di vita e di lavoro al popolo, con provvedimenti legislativi chiamati “Ordinamenti di Giustizia” (i Magnati li chiamarono con spregio “Ordinamenti di Nequizia”), preparati per ordine della Signoria dai Giuristi: Messer Alberto di Donato Ristori, Messer Ubertino degli Strozzi, e Messer Baldo di Uguglione. Uno stravolgimento della politica cittadina durato per poco tempo, conclusosi con la restaurazione, togliendo al popolo tutto quello che avevano ricevuto con la rivoluzione di Giano.

L’ascesa di Dino nella vita politica, fu un risultato personale, non potendo contare sull’appoggio e le conoscenze della sua famiglia. Al tempo dello scontro fra le due parti guelfe Neri e Bianchi, in un Consiglio della sua parte in Santa Trinita, ebbe a dire queste accorate parole per avvicinare le due fazioni in lotta; “Signori, perché volete voi confondere e disfare una così buona città? Contro chi volete pugnare? Contro i vostri fratelli? Che vittoria avrete mai? Non altro che pianto!” Questo accorato invito alla pace rimase inascoltato dai litiganti con i risultati che sappiamo. Dopo la vittoria dei Guelfi Neri nel 1301, riuscì a tornare dall’esilio, come subirono i Bianchi fra i quali Dante Alighieri (mai tornato e morto in esilio), ritirandosi dalla vita politica. Assisté alle vicende della città da spettatore, ma non spassionato e sereno nel giudicarle.

Nella vita privata si sposò due volte. Il primo matrimonio con una certa Filippa dalla quale ebbe cinque figli: Niccolò, Ciango, Bartolomeo, Tora, Maddalena, e Dina. Dalle seconde nozze con Cecca di Puccio di Benvenuto da Forlì nessun figlio, Dino morì a quasi ottant’anni, il 26 febbraio 1324 e sepolto nella chiesa di Santa Trinita. La sua opera “la Cronica” rimase incompiuta e nascosta dai suoi familiari, tornando alla luce nel quattrocento. La notorietà della famiglia Compagni non finì con la morte di Dino, ebbe   durante l’epopea della Repubblica 19 Priori e 2 Gonfalonieri. Riuscirono ad avere ancora incarichi di merito fino alla fine del Settecento, durante il Principato Mediceo e poi Lorenese.

Alberto Chiarugi
Famiglia Compagni
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