Piazza Massimo d’Azeglio è il cuore del quartiere della Mattonaia, sorto tra il 1864 ed il 1866, una piazza tutto sommato molto “giovane”, frutto delle realizzazioni urbanistiche ottocentesche realizzate negli spazi ancora liberi all’interno dell’ultima cerchia di mura.

Il quartiere fu inserito da Giuseppe Poggi nel suo piano di ampliamento, anche se la realizzazione del progetto fu dell’Ufficio tecnico del Comune.

I terreni su cui il quartiere sorse, erano i poderi di Villa La Mattonaia, o Casino Ginori. Il Senatore Lorenzo Ginori aveva trasformato questa antica casa in una grande villa, all’epoca famosa per le piante da frutto e di pregio che venivano coltivate nei giardini alle spalle della villa, un grande appezzamento di terreno all’interno delle mura ancora inedificato e dunque, dal carattere rurale.

Alla fine del Settecento, quando venne trasformata in villa, si ha notizia di alcune “stravaganze” che vennero installate, tra le quali una sedia semovente per spostarsi da un piano all’altro, il precursore dei moderni ascensori.

Nel parco vi erano diverse fontane che erano alimentate dalle acque dell’Arno, attraverso un complicato sistema idrico che raccoglieva le acque dal fiume portandole fin sulla cima della Torre della Zecca per poi, tramite tubature che correvano lungo le mura, farle arrivare fino ai giardini della Mattonaia.

Dal centro del giardino della villa partiva un viale che finiva al muro di confine con l’orto delle monache di clausura di Santa Teresa.

La villa, anche se non ci si fa molto caso, esiste ancora, anche se ben poco rimane dei fasti passati. Questa villa fu frequentata anche da Corilla Olimpica, la poetessa che deliziava gli ospiti con le sue improvvisazioni poetiche. Alla morte di Lorenzo Ginori la villa venne prima affittata a stranieri e poi pervenne, per via ereditaria, ai Torrigiani. Nel periodo di Firenze Capitale la villa perse molto del suo splendore, sembra addirittura che per un periodo sia stata trasformata in bagno pubblico, e pian piano è stata inglobata nel complesso edilizio del quartiere che si andava formando.

Il quartiere che stava nascendo aveva decisamente un carattere residenziale, si strizzava l’occhio alla ricca borghesia e in quest’ottica la piazza che si andava a creare doveva rappresentare un mix tra romanticismo e signorilità.

Piazza d’Azeglio sorse come una romantica piazza-giardino alberata, con al centro una vasca somigliante ad un laghetto, in cui un ibis spruzzava acqua. Esternamente era circondata da una cancellata in ferro, le cui chiavi erano in possesso esclusivamente dei proprietari delle case che sulla piazza si affacciavano.

Durante la seconda guerra mondiale, la cancellata venne smontata, per dare il “ferro alla patria”.

Nella piazza, sul lato settentrionale, il 1° luglio 1869 venne inaugurato un nuovo teatro, alla presenza del re Vittorio Emanuele II e del principe Umberto, al quale fu in seguito dedicato. Si trattava, appunto del Teatro Principe Umberto, pensato proprio per creare un importante luogo ricreativo in questa nuova, signorile ed opulenta zona della città. Era una costruzione quasi interamente lignea, di forma circolare, nella quale venivano rappresentati spettacoli coreografici, quali il Ballo Excelsior, il Ballo Amor o il Ballo Brahma, che fu lo spettacolo con cui la struttura venne inaugurata. A dire la verità, il primo nome di questo teatro fu Arena Morin, solo successivamente venne intitolata al principe Umberto.

Non ebbe molta fortuna: dopo soli vent’anni di attività, il 29 dicembre 1889, venne distrutto da un devastante incendio. Non si pensò a ricostruirlo, sulle sue rovine venne edificato il Villino Uzielli, un primo esempio di quello che sarebbe stato il Liberty.

Quando la capitale venne trasferita a Roma, molti dei proprietari dei villini si trasferirono, e il valore degli edifici subì una forte riduzione; vennero acquistati da molti intellettuali ed artisti, che resero la zona un vivace centro culturale e salottiero; tra i residenti dell’epoca, possiamo ricordare l’imperituro Pellegrino Artusi, che proprio qui scrisse il suo libro “La scienza in cucina”, una vera e propria Bibbia culinaria, una copia del quale si trova quasi sicuramente in ogni casa.

Gabriella Bazzani

Il quartiere della Mattonaia
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