Per fortuna, è esistito Giorgio Vasari e, grazie a Dio, era un gran “ciaccolone”, un “gossipparo”, come lo definisce la mia amica Rachel. Senza Vasari avremmo perso buona parte di una storia fatta di aneddoti, di curiosità, di pettegolezzi che lui, sapientemente, ha raccolto ne “Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”.

Prendiamo, ad esempio, Sandro Botticelli. Senza Vasari forse non sapremmo che a Sandrino piaceva molto scherzare e non saremmo a conoscenza delle burle che il giovane artista portava a compimento. Botticelli, come detto, amava scherzare e far battute, e la sua bottega era sempre affollata di garzoni che, oltre ad imparare il mestiere, trascorrevano il tempo allegramente. Vasari racconta:

Dicesi che Sandro era persona molto piacevole e faceta e sempre baie e piacevolezze si facevano in bottega sua, dove continovamente tenne a imparare infiniti giovani, i quali molte giostre e uccellamenti usavano farsi l’un l’altro”.

La bottega di Alessandro Filipepi, questo il vero nome del Botticelli, si trovava in Via del Porcellana, nella Firenze medievale, una strada popolata soprattutto da conciatori di pelli.

Immaginiamoci un po’ l’ambientazione: strade strette, grande confusione, bambini che giocano in mezzo di strada, donne intente alle faccende di casa, ambulanti posizionati ovunque che vendono la loro mercanzia, animali che vagano lasciando “ricordini”, odori di ogni genere che permeano l’aria, strade polverose… Questo era mediamente lo scenario che ci si sarebbe presentato davanti agli occhi.

Sandro era l’ultimo di quattro figli di un conciatori di pelli nel quartiere di Santo Spirito e la sua bottega era nella casa della sua famiglia, dove il trambusto non mancava mai, tra fratelli, cognate e nipoti.

Accanto alla casa della famiglia Filipepi venne a stabilirsi un tessitore, munito di ben otto telai che lavoravano a ritmo serrato, senza sosta, facendo un fracasso infernale, tale da far tremare i muri. Sandro era molto infastidito da questo frastuono, che lo deconcentrava e non gli permetteva di lavorare e neppure di starsene in santa pace in casa sua. Si risolse quindi ad andare dal tessitore per presentargli le sue rimostranze ma l’uomo, totalmente insensibile alle proteste del buon Sandro, continuò imperturbabile ad azionare i suoi telai, incurante del disagio procurato.

Più di una volta i due ebbero vivaci scontri verbali, durante i quali volavano improperi di ogni sorta, fin quando il tessitore liquidò il Botticelli dicendogli: “qui sono in casa mia e fo icchè mi pare e se un ti sta bene, cambia casa te!“.

Sandro, imbelvito, si allontanò, ma certamente non voleva darla vinta a quell’arrogante prepotente, e cominciò a meditare vendetta. Non gli occorse molto tempo, per farsi venire un’idea geniale e perfida.

Si dà il caso che il muro della casa di Botticelli fosse molto più alto di quello della casa del tessitore e Sandro pensò bene di porre in bilico su di esso un pesante masso che, ogni volta che il muro vibrava a causa del funzionamento dei telai, cominciava ad oscillare, dando la sensazione di essere sul punto di precipitare da un momento all’altro sul tetto e sui telai del vicino.

Questi, preoccupatissimo e molto spaventato, immediatamente corse da Botticelli, chiedendogli di rimuovere il masso e ripristinare una situazione di sicurezza, perché lui proprio non riusciva a vivere così, col terrore di finir morto schiacciato da un momento all’altro sotto quel macigno che gli traballava sopra il capo.

Lesto, Sandro gli rigirò la frittata, facendogli presente che in casa sua poteva far quel che voleva e se non gli stava bene… Non ebbe bisogno neppure di terminare la frase, il tessitore chinò il capo scusandosi, conscio dell’indegno comportamento tenuto, e da quel giorno i rapporti di vicinato migliorarono sensibilmente.

Un altro scherzo architettato da Botticelli vide come involontario attore un suo ex allievo, tal Biagio, che aveva dipinto un tondo. Il quadro venne portato nella bottega di Sandro per essere venduto. Botticelli, un altro allievo chiamato Jacopo, ed il compratore si misero d’accordo per imbastire un bello scherzo ai danni di Biagio.

Durante la notte ritagliarono dei cappucci, che poi incollarono sulla testa degli angeli dipinti sul tondo.

Quando la mattina seguente Biagio vide il suo dipinto così conciato, venne quasi colto da un malore. Il compratore gli si avvicinò, elogiando invece quei singolari copricapi; Biagio, visto che le cose si mettevano bene, decise di tacere sul fatto che non era stato lui a dipingere quei cappucci. Il compratore distrasse Biagio e Sandro immediatamente tolse i cappucci dal dipinto.

Biagio, appena vide il quadro “tornato alla normalità”, non riusciva a capacitarsi di cosa stesse accadendo. I tre compari gli fecero credere di aver avuto un’allucinazione e, mentre il buon Biagio si interrogava sulla sua sanità mentale, gli “amici miei” dell’epoca si scompisciavano dalle risate!

Anche Poliziano ci racconta del clima giocoso che si respirava nella bottega di Botticelli. Nei “Detti Piacevoli” racconta che messer Thomaso Soderini invitava Sandro a prender moglie.

Botticelli, di fronte a questo fatto, raccontò di aver sognato di sposarsi e che, svegliatosi, per paura di ripiombare nell’incubo, si alzò e andò “tutta notte a spasso per Firenze come un pazzo, per non havere cagione di riaddormentarmi”. Soderini, da questa battuta, capì che “non era terreno per porvi vigna”.
Ma c’è uno scherzo che può essere considerato l’apoteosi di Botticelli. Una burla artistica, immortalata nella Chiesa di Ognissanti, nell’affresco “Sant’Agostino nello studio”.

In questo affresco, dietro le spalle del Santo, c’è uno scaffale sul quale sono riposti dei libri, uno dei quali, aperto, riporta una scritta dipinta da Botticelli: “Dov’è fra Martino? E’ scaphato. E dove è andato? E’ abdato fuor dela Porta al Prato”.

La frase, che a prima vista può sembrare sibillina, è riferita ad uno dei frati Umiliati che, probabilmente, era molto attratto da divertimenti terreni e si concedeva licenziose scappatelle… fin quando decise di abbandonare il convento, rifugiando in campagna, per evitare l’umiliazione cui le sue gesta lo avrebbero sottoposto.

Probabilmente il Botticelli lo aveva scoperto, nel periodo in cui lavorava all’affresco, e non aveva resistito al prendersi gioco del povero fraticello con questa frase!

Una canzonatura che il povero Martino deve sorbirsi in saecula saeculorum.

Gabriella Bazzani
Le burle di Botticelli.
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