L’articolo che segue riguarda un particolare aspetto della vita di Leonardo da Vinci e di Botticelli che sinceramente non conoscevo e che mi ha curiosamente appassionato.

Spero possa rappresentare l’inizio di un percorso che ho ipotizzato di fare utilizzando il titolo Metti una sera a cena, preso in prestito da un film degli anni 60, come premessa agli articoli che mi porteranno a raccontare sia il passato che il presente. Lo utilizzerò anche in altre situazioni perché credo che la convivialità possa rappresentare aspetti di amichevoli disquisizioni tranquillamente seduti ad una tavola con amici reali o virtuali, disquisizioni che, oltre al cibo, potranno spaziare in altri settori di “varia umanità” come teatro, pittura, fotografia, ecc.

Metti una sera a cena con Leonardo da Vinci e Alessandro Filipepi (Botticelli)

Siamo a Firenze nel 1475 circa, nel pieno fiorire di quel movimento culturale voluto e protetto da Lorenzo dei Medici con la collaborazione degli amici artisti e letterati che compongono la sua “corte” seguendolo e consigliandolo nelle sue iniziative.

In quel periodo la città vanta qualcosa come 40 Botteghe artigiane, una sorta di Università dell’epoca, dove artisti già affermati insegnano le varie arti e mestieri. L’ingresso di un allievo è disciplinato da un contratto notarile con il quale il maestro assume l’incarico di insegnare il mestiere al giovane praticante che poteva o meno ricevere una paga e vedersi garantiti vitto e alloggio. In linea di massima l’apprendistato durava da quattro anni ad un massimo di tredici. All’inizio l’allievo si limitava alla preparazione dei colori e delle tavole, per poi passare all’arte del disegno ed infine alla fase del dipingere.

Tra le Botteghe attive a Firenze, sicuramente la più conosciuta ed importante, è la Bottega di Andrea di Michele di Francesco di Cione detto il Verrocchio che vede tra i giovani apprendisti nomi che saranno “eternamente” ricordati: Leonardo da Vinci ed Alessandro Filipepi conosciuto come Botticelli, Pietro di Cristoforo Vannucci noto come il Perugino, Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio, Lorenzo d’Andrea d’Oderigo conosciuto come Lorenzo di Credi e Michelangelo Buonarroti . Con tutti Leonardo ha un buon rapporto ma non con il Buonarroti: tra i due ci fu sempre una leggera antipatia che sfociò in invidia da parte di Michelangelo.

Lavorano nella Bottega e dormono negli “abituri” che il Verrocchio ha loro affittato e che pagano con il lavoro e con una parte del compenso che ricevono quando collaborano ai lavori su commissione.

La Bottega è in una delle strade vicine al Ponte Vecchio dove, a partire dal 1442, l’autorità cittadina per salvaguardare la pulizia e il decoro, aveva imposto agli associati all’arte dei beccai (macellai, pesciaoli ecc.) di trasferirsi sul Ponte Vecchio. Questo, per isolarli dai palazzi e dalle abitazioni del centro, in modo da eliminare le consuete e maleodoranti tracce lasciate dai barroccini dei beccai lungo le strade fino all’Arno durante il trasporto degli scarti delle lavorazioni delle carni, scarti che potevano, invece, essere dispersi direttamente e senza alcun danno, nella sottostante corrente del fiume.

Nelle vicinanze della Bottega, la Taverna delle Tre Lumache accoglie giorno e sera un popolo eterogeneo di lavoranti impegnati nelle concerie della zona e nelle beccherie del Ponte Vecchio. La sera, a cena, quando maggiore è la presenza di clienti, il proprietario chiama a dare una mano dei giovani che, allora come ora, sono alla ricerca di qualche soldo da mettere in tasca.

Leonardo serve a tavola ma, secondo necessità, può essere destinato anche alla cucina come aiuto cuoco, mentre Alessandro serve solo a tavola. Quale cliente data anche la bassa estrazione, avrebbe mai potuto immaginare che quei due giovani ventenni sarebbero diventati degli artisti la cui fama sarebbe stata così duratura nel tempo? Ma andiamo avanti.

Una situazione tutta particolare, forse l’avvelenamento del cuoco, di cui non è dato sapere le cause, costringe il proprietario, prima di chiudere il locale, ad affidare la responsabilità della cucina a Leonardo, l’aiuto cuoco. Il ragionamento del proprietario sembra giusto ma, purtroppo si rivela una pessima idea.

Leonardo, infatti, per carattere ed innata creatività, tenta non solo di introdurre un menù più raffinato, con pietanze bene impiattate e decorate con fiori e frutti, ma anche di rivedere la parte economica. Considerati gli avanzi delle pietanze, inizia a proporre porzioni ridotte al punto che i rustici frequentatori della Tre Lumache non apprezzano assolutamente il cambiamento, costringendo il proprietario ad imporre al suo cuoco di cucinare (anche se controvoglia!) i soliti piatti popolari pieni, traboccanti di cibo.

Ma come pensare a sostituire le brodaglie troppo condite e le carni stracotte con piatti più semplici, anche più belli da guardare? La soluzione di questa situazione avviene per caso, quando due gruppi rivali nel corso di uno scontro, consapevolmente od inconsapevolmente, danno fuoco al locale che viene completamente distrutto.

Leonardo, convito della sua idea di cucina e di gestione, non ha nessuno intenzione di fermarsi e convince Alessandro (Botticelli) ad aprire la Taverna delle tre Rane nome che indica una tra le pietanze preferite da Leonardo. Allestiscono il locale con scenografie sottratte alla Bottega del Verrocchio ma non tutto va nel verso giusto e ben presto sono costretti a chiudere definitivamente questa attività.

Le cause, diverse, si riferiscono in gran parte alle pietanze che compongono il menù, nessuna delle quali riesce a soddisfare la “fame” dei clienti nonostante che estetica e qualità siano di livello. Erbe, curcuma, aloe, zafferano, fiori di papavero, fiordalisi, ginestre, olio di semi di senape e di lino arricchiscono i piatti di Leonardo con una preferenza per le verdure. Foglie di basilico disposte a mo’ di petali intorno a una fetta di pane casereccio insaporito con piccoli pezzi di salsiccia, porzioni ridotte e sapori delicati con una particolare attenzione anche all’estetica del piatto.

Sicuramente un cambiamento troppo audace per una Firenze dedita all’abbondanza e a quei peccati di gola, a cui era difficile rinunciare; inoltre, concausa non secondaria, la difficoltà a leggere il menù visto che Leonardo lo scrive non in modo tradizionale ma, come mancino, partendo da destra verso sinistra, tanto che il Botticelli pensa bene di disegnare le varie pietanze: capretto bollito, carciofi, rognone di agnello, rane fritte (specialità della casa), cetrioli, carote. Disegni che servono a ben poco visto che l’inventiva culinario-artistica, ritenuta forse per quei tempi troppo rivoluzionaria, costringe i due amici a chiudere definitivamente il locale.

L’interesse di Leonardo per la cucina non finì certo con l’avventura, fallita, della Taverna delle Tre Rane ma proseguì nel tempo, a Milano, accolto alla corte di Ludovico Sforza, duca della città, non come cuoco ma come Gran Maestro di feste e banchetti e consulente gastronomico.

Non tutti sono a conoscenza del fatto che Leonardo da Vinci ebbe per tutta la vita una passione incondizionata per la cucina tanto. Oltre alle descrizioni di pietanze succulente per l’epoca, come l’Acquarosa, la zuppa di agrumi, la cipolla lessata, adagiata su formaggio di bufala e sormontata da un’oliva nera a spicchi oppure la carota cruda scolpita a forma di cavalluccio marino, con sopra un cappero e un’acciuga, pietanze da definire quasi antesignane della nouvelle cuisine, Leonardo ha lasciato anche progetti e disegni per diversi tipi di girarrosto uno a contrappeso e l’altro ad aria calda, uno spiedo a elica, un cavatappi per mancini (ma i tappi non esistevano ancora!), un affetta uova a vento, un trita aglio e un macina pepe. Utensili ed accessori molti dei quali furono realizzati sempre nel periodo milanese, dove inizia anche a scrivere quello che viene chiamato Codex Romanoff, una sorta di quaderno degli appunti di cucina.

E per chi fosse curiosamente interessato a provare, tra gli appunti del Codice Atlantico, si trova la ricetta dell’Acquarosa, che Leonardo definisce “bevanda di Turchi la state“, una bevanda che poteva dissetare i turchi durante i periodi estivi. La descrizione è molto precisa per cui sembra facile replicarla: bastano 1 litro di acqua, 2 limoni non trattati, 4 cucchiai di zucchero, 4 cucchiai di petali di rosa essiccati e una coppa di alcol a 90°. Filtrata, si lascia riposare per 3 ore in un luogo fresco e buio (si ripone in frigo) per poterla poi servire fredda.

Alessandro Nelli

Metti una sera a cena con Leonardo da Vinci e Alessandro Filipepi (Botticelli)
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