Prima Parte

Seconda Parte

DOLCE FIRENZE Credo che questo dolce “fiorentino” sia veramente sconosciuto ai più. Ma come spesso accade l’origine artusiana ha preso il sopravvento e, quindi, l’ho inserito in questo elenco anche se il nome non è certo curioso. Ripropongo la storia di questo dolce così come scritta da Pellegrino Artusi (La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene): “Avendolo trovato nell’antica e bella città dei fiori senza che alcuni siasi curato di dargli un nome, azzarderò chiamarlo dolce Firenze; e se, per la sua modesta natura, esso non farà troppo onore alla illustre città, può scusarsi col dire: Accoglietemi come piatto da famiglia e perché posso indolcirvi la bocca con poca spesa” . Invitandovi a provarlo, propongo una ricetta “modernizzata”
Ingredienti (Dosi per 6 persone)

100 g di zucchero, 60 g di pane sopraffino), 40 g di uvetta sultanina, 3 uova, 1/2 litro di latte, 1 limone

Preparazione

Tagliate il pane a fette sottili e tostatele leggermente. Imburratele calde da entrambi i lati e disponetele in una pirofila nella quale servirete poi il dolce. Cospargete le fette con l’uvetta precedentemente ammollata in un vino dolce (Vin santo) e con la scorza grattugiata del limone. A parte sbattete le uova con lo zucchero e il latte. Versate il composto nella pirofila e infornate a 150° per circa 40 minuti o, comunque, fino a quando gli ingredienti non si saranno rappresi. Servite ancora caldo.

NOTA: Negli ingredienti, il pane sopraffino si può sostituire con un filone toscano di farina bianca mentre nella preparazione è utilizzata la variante di ammollare l’uvetta.

Erbi (Torta d’) E’ una torta salata tipica della Lunigiana, fatta con erbe spontanee e verdure di stagione come bietole, cipolle, borragine, porri, zucche, fagioli, patate, carote. Si prepara la pasta con farina, sale ed olio (o strutto), che deve avere la consistenza della pasta da tagliatelle. A parte, si fanno bollire “gli erbi” con poca acqua e sale, si scolano, si strizzano e si ripassano in padella con un pò d’aglio. Si stendono due dischi di pasta piuttosto sottile e ci si mette in mezzo la verdura, dopodiché si cuociono utilizzando dei particolari recipienti, i testi, abbondantemente unti oppure, in mancanza di questi, una teglia da forno unta. E’un piatto caratterialmente versatile che può essere proposto come merenda, come aperitivo ed anche come piatto di portata, ottimo d’estate e d’inverno, utilizzando gli “erbi” offerti dalla stagione e/o dal proprio orto.

NOTA La cottura con i testi dei cibi è da considerare una caratteristica arcaica ed unica del territorio. Un tempo erano realizzati in terracotta mentre gli attuali sono di ghisa. Sono composti da due elementi: il “sottano” una sorta di teglia circolare bassa ed il “soprano“, un coperchio a forma di campana. FRATI

Ricordo che gli anziani, nel passato, riferendosi al bombolone lo definivano come il “mangiare aria fritta”, modo di dire indicativo di un qualcosa che è privo dl contenuto, che è vuoto. E, in realtà, i bomboloni salvo tutte le possibili varianti ed eccezioni sono vuoti. Storicamente vengono fatti derivare dai krapfen, giunti in Toscana al seguito degli Asburgo-Lorena che nel XVIII secolo reggevano il Granducato di Toscana. A differenza dei krapfen, ripieni di crema o marmellata, i bomboloni sono vuoti.

I FRATI bomboloni fiorentini con il buco nel mezzo, sono ciambelle fritte che devono il loro nome alla loro forma tonda che ricorda la chierica dei frati.

FRISSOGLIA E’ un contorno tipico della campagna con cui i lucchesi inaugurano l’estate e, comunque, è uno dei contorni più presenti nei ristoranti della zona. La sua origine popolare, lo rende semplice nella realizzazione in presenza di verdure, zucchini e fiori, fagiolini, bietoline, pomodori, cipolline novelle. Un mix di sapori giusto ed equilibrato che lo rende gradevole e stuzzicante. Su crostoni di pane toscano, può diventare un ottimo antipasto od un appetitoso spuntino. Il nome “Frissoglia” sembra avere come etimo “frictus” da cui derivano i vari termini usati per friggere, anche se viene cucinato in padella a fuoco alto. Qualcuno lo assimila alla famosa Ratatouille francese.

GALERA Il, nome non è indicativo di uno specifico piatto ma di tutte le pietanze che hanno bisogno di una lunga cottura all’interno di un recipiente perfettamente chiuso. A titolo di es4empio abbiamo scelto il Polpo in Galera, piatto tradizionale dell’Isola d’Elba. Il polpo viene cotto in un tegame con il coperchio molto pesante. Resterà in “galera”, imprigionato, per un lungo tempo di cottura a fiamma dolce. Senza togliere il coperchio dovrà poi essere lasciato un po’ di tempo a intiepidire nella sua acqua, per consentirgli sapore e soprattutto morbidezza.

E, sempre in riferimento al polpo, suggeriamo un particolare accorgimento che prevede l’opportunità di coprirlo con un foglio di carta da forno da fermare con un piatto rovesciato sopra e, successivamente va messo un altro foglio di carta da forno, chiudendo il tutto con un coperchio. Un ulteriore consiglio è quello di appoggiare sul coperchio stesso due pesi in modo da ridurre al minimo la fuoriuscita del vapore durante la cottura.

La ricetta nonostante questi minimi accorgimenti non è assolutamente difficile, basterà avere solo un po’ di pazienza. Oltre al polpo potete provare anche con il coniglio od il pollo purchè consideriate sempre che il termine “in galera si riferisce solo ed esclusivamente alla modalità di cottura.

GARFAGNINO E’ un pane morbido con preparazione tipica della Garfagnana, in cui alla farina di grano si aggiunge una percentuale di circa il 15 % di patate lessate, insieme a semola e sale. Le patate, più utilizzate, considerate più adatte, principalmente rosse e di piccole dimensioni, sono quelle coltivate in altitudine nella zona di Sillano. Le patate presenti nell’impasto non si sentono assolutamente e riescono a rendere la pasta più morbida, più saporita oltre a consentire una maggiore conservabilità. Si ottengono pagnottelle di uno o due chili che, tagliate a fette, risultano essere un ottimo abbinamento ai salumi della Garfagnana, quasi tutti salati come è nella tradizione della Toscana. Il top si raggiunge abbrustolendo leggermente le fette in forno e dopo averle spennellate con un intingolo di olio, aglio e rosmarino finemente tritati, di mangiarlo con il lardo altro prodotto tipico della zona.

Anche se le patate non hanno più lo scopo di sostituire la farina, la tradizione continua soprattutto nei forni a conduzione familiare. E’prodotto da luglio a marzo, nel periodo tra la raccolta e quello di massima conservazione delle patate.

GARMUGIA E’ una tipica zuppa che oltre alla tradizionalità propria di Lucca, può presentare diverse varianti a seconda della stagionalità degli ingredienti. E’ generalmente ricca di verdure primaverili tra cui asparagi, carciofi, piselli e fave, arricchite da carne macinata, cipolline soffritte e pancetta. Il composto, amalgamato nel brodo viene versato su crostini abbrustoliti. La ricetta viene storicamente fatta risalire al XVII secolo, ma non sembra rientrare nelle ricette “povere”, data la presenza della carne, che la fa riservare alle famiglie agiate. Secondo alcuni storici il nome viene fatto derivare da “germiglio” (germoglio in toscano) per la presenza importante delle verdure fresche primaverili con cui è composto questo piatto.

GINOCCHIONI Il piatto a cui si fa riferimento è l’anguilla in ginocchioni, la cui preparazione è tipica della Lucchesia. Credo sia doverosa una possibile spiegazione di questo nome che oltre ad essere curioso è strano, pittoresco e popolare L’origine del “ginocchioni” riferito all’anguilla, sembra essere di due motivi. Il primo, la bontà del piatto che predispone ad inginocchiarsi come atto di omaggio, il secondo riguarda invece l’ immagine della anguilla che prima di essere messa in umido, tagliata a pezzi, viene fritta. E, in questa modalità, assume nella padella una posizione a forma di ginocchi.. Cotta in umido, in padella, è un piatto dal gusto semplice e speziato da mangiare in ogni stagione. E’ un pesce molto pregiato, grasso, nutriente e gustoso a condizione che sia pescato in acque pulite.

GURGUGLIONE E’ un piatto tipico dell’isola d’Elba, in particolare della zona di Rio Marina ed è da sempre considerato un piatto della cucina povera e contadina considerato che è a base di verdure proprie della campagna. A livello locale, con alcune varianti, è conosciuto con nomi sicuramente particolari come “puttanaio” e “gaspaccio” ma, in generale, gli ingredienti sono gli stessi. Riporto quelli che sembrano essere specifici della ricetta originale: cipolle rosse, peperone verde per il suo gusto leggermente aspro, melanzane, zucchine, pomodori. Le patate, aggiunte, sono utilizzate anche per capire quando il piatto è pronto considerato che sono quelle a più lunga cottura. Le verdure stufano dolcemente tutte insieme insaporendosi a vicenda. Piatto vegetariano, preparato con i prodotti dell’orto è ottimo servito con pane toscano abbrustolito e strofinato con l’aglio. E’ considerato un contorno, ma anche un gustoso secondo piatto e, con l’aggiunta di una spolverata di formaggio grattugiato si trasforma in un piatto unico!. Il nome Gurguglione è una parola vernacolare onomatopeica, facilmente comprensibile, che richiama il gorgoglio delle verdure quando “bollono” piano, piano.  E, visto che ci siamo perché non ricordare che il termine stufato deriva dall’antico modo di cuocere gli alimenti, quando, chiusi in un recipiente con il coperchio cuocevano sul piano delle “vecchie” stufe alimentate a legna? La storia vuole che questo piatto fosse il pasto che portavano con sé i minatori e i contadini dell’Elba, dove fin dall’antichità si estraeva il ferro dalle miniere di cui “era” ricca, isola dove si praticava anche agricoltura e pesca.

INTRUGLIA Il piatto con questo nome è sicuramente versiliese, di Pietrasanta e delle zone limitrofe. Ha altri nomi, come spesso accade per molti piatti, varianti in Garfagnana e Lunigiana. Le radici sono antiche anche per gli ingredienti sicuramente poveri, destinati più a sfamare che “a coccolare il palato”. In sintesi è una zuppa di farina di granoturco mescolata ai fagioli ed al cavolo nero. Il nome non è tanto invitante, sembra solo un intruglio, ma, nel caso, non date retta alla generica definizione della Treccani “Mescolanza poco gradevole o disgustosa di cibi o bevande” E’ un piatto davvero gustoso, dal sapore deciso che ha come protagonisti il cavolo nero e i fagioli, cavolo nero che deve essere quello delle gelate, con il ghiaccio che spezza le fibre delle sue spesse foglie bollose, facendole diventare più tenere. A conclusione, ricordo che un vecchio detto dice che in Toscana non si cucina, si cuoce!. Questo grazie alla qualità delle materie prime che è sufficiente cuocere per esaltarne il sapore, piatti semplici che possono accontentare anche i palati più difficili.

MANAFREGOLI Il piatto è molto semplice e si presenta come una specie di polentina calda su cui si versano latte o panna fredda (non montata), oppure con la ricotta. Una volta venivano consumati perfino a colazione dalle popolazioni appenniniche che in autunno e inverno non avevano altri alimenti energetici a disposizione e venivano preparati nel paiolo di rame, come la polenta di granturco. Sono un piatto contadino diffuso in Garfagnana, come manafatoli di BargaCoreglia Antelminelli in Media Valle del Serchio oppure manufatoli sulla Montagna Pistoiese . La pietanza è estremamente povera tipica di questa zona dove la castagna ed i suoi derivati hanno rappresentato per molti secoli una risorsa definibile fondamentale per l’alimentazione. E’, in pratica, la storia della gente di montagna che non ha mai avuto molto tempo per cucinare occupata, allora come ora, nel lavoro dei campi e nei boschi, nelle stalle o nei pascoli. Una cucina frugale, ma ricca e sostanziosa, a sostegno delle esigenze di una vita intensamente e quotidianamente vissuta.

NECCI Sicuramente sono da considerare gli intrusi di questo elenco, ridotto, di nomi curiosi di alimenti e piatti della cucina Toscana Ma non potevamo certo dimenticare che “neccio” nella zona della Garfagnana assume il significato di “castagno” ed ha origini molto antiche. Qualcuno ha assimilato il castagno al maiale, animale di cui non si butta via niente. Il legno del castagno è usato per l’edilizia ed anche per fabbricare botti, mobili e accessori, le foglie utilizzate per la farmacopea naturale mentre i suoi frutti, le castagne, sono state usate fin dall’antichità nella nostra alimentazione. Castagne che hanno permesso alle popolazioni povere di sopravvivere, grazie al loro grande potere nutritivo ed alla possibilità di fornire energia a chi doveva affrontare la dura vita dei pascoli e della campagna. Necci piccoli dischi di farina di castagne, acqua e sale, cotti sui testi, piccola padella piatta di ghisa, da mettere sul fuoco. Tipici di Pescia, della Montagna Pistoiese, della Lucchesia, dell’Alta Versilia, della Garfagnana sono conosciuti in altre regioni con qualche variante e nomi diversi.

Per concludere alcuni termini relativi a come il neccio può essere consumato:

  • a biuscio, termine dialettale che sta per “senza condimento”;
  • guercio, con l’aggiunta di una sottile fetta di pancetta prima della cottura o come riempimento;
  • incicciato, con l’aggiunta di pasta di salsiccia, usata come farcitura o direttamente nell’impasto. Questa versione è tipica della Montagna Pistoiese e in particolare del paese di Pracchia;
  • con la nutella, farcitura non tradizionale, ma apprezzata soprattutto tra i giovani;
  • con la ricotta, ovina o vaccina. Variante spesso usata nelle zone dell’Appennino bolognese e pistoiese;
  • col miele, farcitura tipica dell’Appennino sopra Pistoia;
  • col burro, come farcitura accompagnato da sale;
  • affrittellato, farcito con una sottile frittata fatta con latte, uova, olio, sale e pepe un’idea di ramerino oppure, in alternativa, con gli apici zone di origine di questa ricetta.
Alessandro Nelli

Nomi curiosi della cucina toscana, seconda parte
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