Prima Parte

Seconda Parte

Terza Parte

PAN DI LEGNO E VIN DI NUVOLE Espressione tipica con cui si indicava, con amarezza, quanto fosse squallida la tavola dei poveri. Il pan di legno era indicativo della farina di castagne al posto del grano mentre la poetica espressione vin di nuvole indicava la semplice acqua (che cade dalle nuvole) come bevanda al posto del vino. Una visione sicuramente poetica ma che mi sembra raccogliere, comunque, tutte le caratteristiche comuni di una regione, la nostra, che da sempre basa la maggioranza dei suoi piatti dal passato. Una cucina povera che risponde ad un concetto antico: “in Toscana, non si cucina, si cuoce”, a significare la qualità e bontà dei prodotti della nostra terra.

PANFICATO Originariamente questo pane o pagnotta che dir si voglia, dolce e morbido, veniva preparato con gli ingredienti offerti dal territorio, fichi secchi, uva sultanina, noci ed al posto del vino che all’epoca rappresentava un bene prezioso, venivano utilizzati i raspi bagnati in acqua e lasciati fermentare, la vinella, economica soluzione alternativa. La somiglianza con il panforte senese sembra sia dovuta ad un fatto storico avvenuto intorno al 1544 quando i Medici dopo una scorreria di pirati saraceni, attivarono il ripopolamento dell’isola con i senesi che, chiaramente, continuarono la loro tradizione utilizzando, però, gli ingredienti presenti sul territorio.
La ricetta è tramandata di generazione in generazione anche se con personali variazioni, mentre l’unica caratteristica che non è mai cambiata è la lunga lavorazione soprattutto per la preparazione dei fichi. Nel tempo sono stati aggiunti cacao amaro, scaglie di cioccolato, mandorle, pinoli, marmellata d’uva, altra frutta. Pur essendo un dolce prevalentemente invernale, ora è possibile trovarlo sempre nei bar e nelle pasticcerie dell’isola. E’ consigliato consumarlo accompagnato dal Passito del Giglio o dall’Ansonaco, vino gigliese.

PANIGACCIO E’ un impasto di acqua, farina di grano tenero e sale, senza lievito, che viene cotto su dei piatti originariamente di terracotta chiamati testi. Quando i testi raggiungono la temperatura desiderata, vengono tolti ed impilati uno sull’altro, alternando ogni testo incandescente all’impasto. Una volta cotto l’impasto, il panigaccio è pronto per essere gustato accompagnato da salumi, formaggi cremosi o con sughi diversi, dal pesto al sugo di funghi od anche solo con olio di quello “bono”. Da sempre il “panigaccio”, per la semplicità ed anche per il basso costo, veniva e viene ancora cucinato in Lunigiana e in Garfagnana. E, a dimostrazione del legame con questa terra e con questa “Gente”, gli anziani ricordano un episodio accaduto nel corso della seconda guerra mondiale quando Podenzana (Massa e Carrara), considerata la “capitale” di questo “pane”, rimase isolata per diverso tempo ed i suoi abitanti riuscirono a sopravvivere grazie a dei panigacci davvero speciali, impastati con farina di ghiande e castagne e fatti cuocere al fuoco del camino o su dei falò del tutto improvvisati.

PASIMATA E’ la ricetta di un dolce della tradizione pasquale della Piana Lucchese e della Garfagnana. Nella piana Lucchese ha la forma di panino, viene fatta con farina, zucchero, strutto o burro, pasta di pane, lievito, latte e semi d’anice. In Garfagnana invece viene fatta con burro, vino santo, uova, farina grano, zucchero, lievito, anaci, uva passa. Ha una forma circolare, di colore marrone tendente al nero e la pasta è di un giallo dorato e può essere chiamato anche crescenza per via della complessa preparazione che prevede l’impiego del “lievito madre”. La pasimata è comunque un dolce povero da preparare per la vigilia di Pasqua, un dolce lievitato, insaporito con semi di anice, dalla lunga e laboriosa preparazione che, a seconda della quantità di impasto, può durare anche due o tre giorni. Nella versione originale è un normale pane che con il trascorrere del tempo è stato ingentilito dalla presenza di strutto e zucchero. E’ considerato un pane rituale che, una volta, aveva un preciso significato religioso, un pane da dividere fra tutti, nel significato di comunanza fraterna. Il suo nome ha un etimo incerto ed anche la versione che lo farebbe legare alla “passio” , la passione di Cristo, per il suo essere considerato come dolce pasquale e rituale, sembra non essere convincente. Oltre a questo, la sua modernizzazione rispetto al passato, con ingredienti quasi estranei alla ricetta originaria, non aiuta nella scoperta del suo etimo.

PICCHIO PACCHIO E’ un piatto quasi identico alla Ciancifricola ma deriva dal sugo palermitano conosciuto come “carrettiera”. La storia racconta che, alla fine del Settecento, il Granduca Pietro Leopoldo fece arrivare dalla Sicilia famiglie che fossero capaci di insegnare a coltivare il grano nei terreni “aridi” delle Crete senesi. A causa dei pomodori toscani meno buoni di quelli del Sud, la ricetta è stata modificata pelando e trasformando in salsa i pomodori, prima di essere uniti alle uova sbattute. La salsa viene lasciata piuttosto liquida e servita su fette di pane toscano (senza sale, sciocco). Come spesso accade per i piatti e/o per alimenti c’è chi la chiama pomodorata“, chipicchio pacchioe chi, semplicemente, ovo al pomodoro“. Una variante prevede anche l’aggiunta di un uovo di quaglia (a persona) o, in mancanza, un uovo di gallina.

POTASSOLO (MELU’) E’ un pesce che appartiene alla famiglia dei Merluzzi, presente nella baia di Porto Ercole (Argentario), da sempre cucinato dai pescatori del luogo. Si differenzia dal Nasello a cui somiglia, per la bocca più piccola, l’occhio più grande e la presenza di pinne su di un corpo sottile e allungato. E’conosciuto anche con altri nomi ma i pescatori del luogo lo chiamano popolarmente Ficamaschia, termine che nel dialetto locale indica una donna mascolina e, riferito al pesce, una preda di scarsa attrattiva anche se organizzano, nella metà di agosto, la Sagra della Ficamaschia Dorata. E’ un pesce dalla carne buona e dal sapore delicato, proposto in mille modi differenti, come sugo per la pasta o come ingrediente per un ottimo risotto. Per molti il miglior modo è di mangiarla fritta, dorata, insieme a salse e condimenti tipici di Porto Ercole. Una delle preparazioni di questo pesce è quella dei pescatori che durante il “doppino”,cioè due giorni consecutivi in mare, erano soliti aprire le fichemaschie per metterle ad essiccare sulle reti salate dalla sola acqua di mare. In questo caso si parla di fichemaschie “a stocchetto“, successivamente consumate, secche, condite con olio di oliva. Per sola conoscenza lo stocchetto deriva da stocco, riferibile al merluzzo seccato e conservato intero ma senza testa e interiora.

PUPPORINA E’ un “biscotto” di origine antichissima di cui si ha notizia solo nella zona della Versilia. Tipico di Bozzano (Massarosa) per festeggiare e San Bartolomeo, apostolo venerato non come patrono ma come protettore dei bambini, Le donne del paese, la sera del 24 agosto, nella ricorrenza, preparavano questo biscotto rotondeggiante che ricorda, un seno materno. Portato in processione dai bambini, in chiesa, veniva benedetto e poi mangiato. La tradizione popolare riteneva che questo dolce potesse “dare” molto latte alle mamme che dovevano allattare”. Ancora oggi perla festa, nelle case si preparano le ”pupporine” con  farina, uova, zucchero, burro, lievito, semi d’anice, marsala, sassolino e scorza di limone. E’ anche la protagonista di una  sagra che si svolge dal 1 al 15 agosto di ogni anno. E’ difficile da reperire considerata la produzione solo da parte di alcune famiglie del paese.
SBURRITA E’ un piatto della zona mineraria, la più povera dell’isola d’Elba, che le massaie di Rio nell’Elba e di Cavo non hanno mai smesso di cucinare per non perdere questa tradizione. E’ una zuppa di pesce aromatizzata con spezie e verdure, preparata con baccalà bagnato, nepitella (mentuccia selvatica), peperoncino e pane casereccio toscano. E’ consigliabile utilizzare un recipiente in terracotta per esaltarne maggiormente i sapori. Si presenta come un brodo insaporito dal baccalà e dalla nepitella. La storia racconta che il piatto, povero, veniva preparato dalle mogli ai minatori “riesi”, come pasto da consumare durante la pausa in miniera, il “convio”(da convivium=banchetto) bevendoci il buon vino locale. La sburrita di baccalà nasce come ricetta di recupero per riutilizzare quelle parti del baccalà meno nobili generalmente scartate per preparare altri piatti come, ad esempio, la zona della pancia o la parte più sottile della coda.

SCARPACCIA Non è la prima volta che capita, nell’elenco dei nomi curiosi dei cibi della nostra regione, di imbattersi in due località che si contendono l’origine di uno stesso piatto la cui sola variante sembra essere determinata da un piatto salato ed uno dolce. La scarpaccia è uno di questi, con la ricetta che viene rivendicata sia da Camaiore che da Viareggio, nonostante che la base sia la stessa, una frittata di zucchine. La differenza è negli ingredienti, a Camaiore è salata, con cipolline e basilico mentre a Viareggio è dolce con fiori di zucca e farina. Unica condizione comune riguarda le zucchine che devono essere “novelle”. Per gusto personale ho scelto la ricetta di Camaiore per le sue antiche origini antiche e perchè tipica della tradizione contadina quando si cucinava va soprattutto quello che si coltivava. Secondo la leggenda, la ricetta dovrebbe avere almeno settecento anni, quando Castruccio Castracani, duca di Lucca, mentre percorreva coni suoi armati la Valle del Serchio, trovandosi a corto di viveri, chiese ed ottenne dai contadini della zona di rifornire ili suoi uomini, racimolando zucchini, farina e uova che, amalgamati, dettero appunto vita a delle frittate.

Il suo nome? Non tutti sono d’accordo. Alcuni si riferiscono al suo aspetto che ricorda una vecchia suola di scarpe, altri al fatto di essere un piatto povero, di poco conto, come una scarpa vecchia. Un consiglio? Non pensateci ed assaggiatela, vale la pena! E non pensate nemmeno a quel suffisso “accia” che secondo testi e dizionari anche di livello è considerato un dispregiativo. In Toscana, basta considerare il, contesto per assimilarlo a qualcosa di particolare, ma in senso positivo.

SCOTTIGLIA E ‘ il classico piatto povero diffuso soprattutto nelle campagne quando per preparare la cena si mettevano insieme gli avanzi. La scottiglia è chiamata anche “cacciucco di terra” perché si utilizzavano in origine i tagli di carne meno nobili e/o gli avanzi delle carne macellate che non si era riusciti a vendere. Si mettono insieme, generalmente bianche od anche differenti a seconda della zona. Perché anche questo piatto considerato una via di mezzo tra lo stufato ed una zuppa od una specie di spezzatino, vanta origini contrastanti tra il Casentino e la Maremma. Zone i cui rapporti territoriali erano particolarmente stretti non solo per la transumanza delle greggi verso la Maremma ma anche per i lavoranti stagionali, per i boscaioli che si dedicavano al taglio degli alberi per fare il carbone.

A parte le origini e le varianti di questi piatti, minime, a seconda del territorio, il nome di questa ricetta si fa derivare dall’uso di scottare insieme i pezzi di carne, con poco olio, in un tegame di coccio. Carne di vario genere, pollo, maiale, vitello, tacchino, coniglio, agnello, da cuocere a fuoco basso, molto lentamente, aggiungendo pomodoro e vino rosso per un sugoso e succulento risultato. E, ancora una volta, anche questo piatto rientra nella cucina degli avanzi, quella dove non si butta via nulla a nulla”, un principio che segna la tipicità della nostra cucina contadina.  

SFRATTO E’ un dolce dalla forma di un bastone lungo una ventina di centimetri, preparato con pochi ingredienti e ripieno di miele, noci, noce moscata e scorze di agrumi. Un banale dolce natalizio? Assolutamente NO!! E’ il dolce che rappresenta la storia di una comunità, quella ebraica, una testimonianza del passato che ha come protagonista Pitigliano, uno dei borghi più belli e caratteristici della Maremma nell’ dell’Area del Tufo,’ conosciuto anche come La Piccola Gerusalemme.

La storia, potrebbe sembrare del secolo scorso, ha invece radici antiche. Tra il 1555 ed il 1569 Papa Paolo IV emise alcune bolle papali che limitavano la libertà della popolazione ebraica che viveva nello Stato della Chiesa e che costrinse gli ebrei a lasciare le loro case e trasferirsi nei vicini territori. Pitigliano, vicino al confine con il Lazio, divenne, alla fine del XVI secolo, la nuova residenza per una parte della comunità ebraica in fuga dallo Stato Pontificio. La convivenza tra la gente del posto e la nuova comunità fu così pacifica che ben presto acque, oltre ad un quartiere ebraico, anche una Sinagoga che ancora oggi è l’unica in tutto il territorio grossetano. Lo stesso accadde anche nelle vicine cittadine di Sovana e Sorano. Purtroppo anche in Toscana arrivarono le prime limitazioni nei confronti della comunità ebraica e nei primi anni del 1600, Cosimo II dei Medici emanò un editto che prevedeva che tutti gli ebrei del suo territorio, dovessero vivere esclusivamente all’interno del Ghetto Ebraico di Pitigliano. Ogni giorno al tramonto, i soldati del Granducato di Toscana bussavano alle porte per “ordinare” ai residenti di trasferirsi, utilizzando una sorta di bastone. Un secolo dopo gli ebrei di Pitigliano crearono questo dolce per ricordare l’evento dei soldati che, battendo alle porte, avevano intimato di lasciare le loro case.

E questi lunghi biscotti biscotti a forma di bastone ricordano , appunto, l’evento dello “sfratto”, atto con il quale, in un rapporto di locazione, viene richieste la restituzione dell’immobile. Oggi questo dolce, originariamente preparato nel periodo natalizio, si può trovare sempre nei forni e nelle pasticcerie del borgo.

SPONGATA È una torta con una base di pasta, riempita con marmellata di mele e pere, frutta candita, pinoli e mandorle, e ricoperta da un secondo strato di sfoglia che viene bucherellato per facilitarne la cottura in forno. Può essere definito il dolce dei “Tre Confini”, Liguria, Toscana ed Emilia, con ingredienti che variano territorialmente. La Spongata della Lunigiana è una torta di forma circolare e colore rosato, formata da due strati di pasta che si farciscono con un ripieno di miele, pane, frutta secca, aromi e spezie. E’ un dolce dalle origini che si perdono nel tempo tanto che il suo nome sembrerebbe derivare da spongia, la spugna della Antica Roma, per l’aspetto spugnoso e irregolare della sua superficie. La Spongata, in Lunigiana (non solo),viene anche chiamato il  “Dolce della Via Francigena”, una strada che mi è sembrato giusto ricordare per le diverse “contaminazioni culturali ed enogastronomiche” avvenute tra pellegrini di passaggio ed abitanti dei paesi lungo il percorso. La Lunigiana, infatti, oltre ad essere uno dei punti di accesso soprattutto per chi scendeva dalla Francia era anche il punto che congiungeva la via verso la Spagna, via che portava i pellegrini spagnoli a Roma e quelli italiani a Santiago de Compostela

Per sola memoria la Via Francigena, era parte di diversi percorsi che dall’Europa occidentale ed in particolare dalla Francia, conducevano fino a Roma per poi proseguire verso la Puglia, vista la presenza di porti d’imbarco per la Terra Santa, Il pellegrinaggio a Roma, in visita alla tomba dell’apostolo Pietro, era nel Medioevo una delle mete insieme alla Terra Santa ed a Santiago di Compostela.

TEGAMACCIO Piatto di recupero utilizzava i ritagli della lavorazione del maiale a chiusura del perorso della sua lavorazione. Una ricetta molto diffusa in varie regioni e, in Toscana, in varie zone, ma con questo nome sembra essere tipico nella preparazione “all’aretina” e nella valle del Bisenzio. Era una sorta di rito che si svolgeva nel mese di Dicembre e nelle campagne c’era l’usanza, nelle famiglie contadine, di ammazzare il maiale e far uscire dai vari scarti e dai vari ritagli un piatto gustosissimo, uno spezzatino di maiale, ottenuto con verdure ed ortaggi stagionalmente disponibili. La carne spezzettata, i ritagli, i pezzetti inutilizzati, venivano riuniti in un tegame di coccio, conditi, cotti a fuoco lento, il tutto rigirato con un mestolo di legno fino a quando quella carne di scarto ed anche poco considerata diventava tenera e saporita. Era una festa con un gran pranzo a cui prendevano parte tutti coloro che avevano lavorato, i norcini in prima persona, familiari ed amici. Come per altri piatti con nomi che terminavano “accio” e “accia”, questo suffisso è generalmente conosciuto in senso dispregiativo. Solo in Toscana si considera anche in senso positivo se il contesto è indicativo di una situazione positiva. Tegamaccio in questo caso è indicativo di un gustosissimo spezzatino di maiale, piatto tipico della tradizione contadina, che ha il solo difetto di essere un piatto semplice, con ingredienti composti da scarti e ritagli di una carne che nel suo complesso è internazionalmente conosciuta di grande qualità.

VINATA E’ un piatto tipico della cucina contadina che si era soliti consumare a tarda sera, prima di andare a dormire, usanza che serviva a combattere il freddo dell’inverno. Sapeva saziare togliendo l’appetito e, soprattutto, era in grado di scaldare il corpo! Oggi, forse, la ricorderanno i nonni della Lunigiana ma è anche possibile che qualche ristorante, più facilmente in provincia di Massa, la proponga come “fine menù”. La Vinata è una particolare polenta di farina dolce, di castagne, ottenuta con l’aggiunta di acqua e vino rosso. Sul fuoco per circa 30 minuti, girandola con un mestolo di legno, sarà pronta per essere consumata con il cucchiaio quando la consistenza sarà quella di una crema molto morbida. E, quando fa plotta, plotta, la vinata è bella e cotta!!

La vittoria sugli amici pseudo chef di rango (!!) dopo aver impostato la mia strategia vendicativa su alimenti e piatti della cucina toscana povera e tradizionale, è stata schiacciante. I nomi curiosi di piatti e tradizioni della nostra regione sconosciuti ai più, ha mitigato e limitato la supponenza culinaria degli amanti nostrani dei vari Nigiri, Hosomaki, Gunkan, roll o della cucina fusion. Vittoria completa, una volta tanto! Ma che fatica!!! Credevo che il percorso che avevo ipotizzato fosse, sinceramente, più facile. Oltre alle “curve”, solo qualche volta sono riuscito a scoprire l’origine di quel particolare nome spesso legato a qualche episodio e/o a qualche personaggio o situazione particolare di quella zona, di quel territorio. Sinceramente mi sono divertito anche perché ho scoperto che io stesso ne conoscevo solo alcuni per esperienza personale. Ho consapevolmente tralasciato la cucina fiorentina e senese per ragioni legate alla internazionalità dei loro piatti. Per il resto, auguro a tutti un sincero buon appetito. E, se volete riproporre questi piatti dai nomi curiosi, troverete le loro ricette su Internet. Meglio ancora se, comunque, dedicherete una visita ai luoghi ed alle zone ricordate senza dimenticare di fermarvi a pranzo.

Alessandro Nelli
Nomi curiosi della cucina toscana, terza parte
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