Prima parte

La Signoria con in testa in Gonfalone, scortato dalla Famiglia di palazzo, arrivò nella piazza sottostante gremita dal popolo accorso per assistere al processo al Poeta. Giunsero sulla pedana di pietra detta “arengario o aringhiera” dal nome della ringhiera di metallo che la circondava. Mentre i familiari di Dante, si mescolarono fra il popolo. I Fanti di Palazzo erano schierati davanti alla pedana di fronte alle persone, pronti ad intervenire per salvaguardare l’incolumità della Signoria da eventuali attacchi portati dalla folla, istigata dai Neri mescolati fra i curiosi. Il Podestà, i Priori, il Gonfaloniere di Giustizia, Corso Donati capo riconosciuto della fazione dei Neri, si accomodarono ai loro posto. Infine il Podestà diede ordine ai Birri di andare a prendere l’accusato, e al Cancelliere di leggere all’esiliato e ai presenti i termini delle accuse e le condizioni per la remissione in un silenzio generale.

Alla fine della lettura il Podestà, chiese all’Alighieri se era disposto a pagare l’ammenda e a rinnegare il suo credo, e se accettava di andare per la città su un asino e rimanere esposto al pubblico ludibrio. Dante rispose di sostenere questa pubblica umiliazione e pagare la somma stabilita.

Accompagnato dai Birri alla porta del Palazzo, venne fatto salire sul somaro in attesa nel cortile, e gli venne appeso al collo il cartello con le accuse. Poi Corso Donati al massimo della eccitazione per il suo trionfo, dette l’ordine di partenza al piccolo corteo che iniziò il suo girovagare.

Per le strade in cui passavano la gente si fermava a guardare, alcuni commentavano, altri gli sputavano addosso, e i ragazzi gli tiravano addosso fango, liquami e verdure marce. Il Poeta subiva questa umiliazione con dignità, mentre la moglie e i figli lo seguivano piangendo. Ritornato in piazza dei Priori, il corteo si fermò davanti alla Signoria, fu fatto scendere di sella e liberato dopo aver pagato l’ammenda e la cancellazione della condanna dal Libro del “Chiodo”. Poi insieme ai suoi familiari si diresse verso la sua abitazione di fronte alla Torre della Castagna. Giunti, entrarono e si chiusero dentro. Nessuno fece una parola, si abbracciarono con affetto piangendo tutti insieme.

Dopo pochi giorni Gemma, fece presente al marito la mancanza di denari per sopravvivere, così l’Alighieri decise di riscriversi all’Arte dei Medici e Speziali per ricominciare la carriera politica e nell’attesa riprendere a scrivere. Si ripromise di passare all’Istituto di Diritto per chiedere di occupare la cattedra di Filosofia. Questa scuola di Diritto, retorica, e Arti Liberali era stata fondata nell’anno 825 dall’imperatore Lotario I.

Una mattina dopo di buon’ora, si recò alla sede dell’Arte Medici e Speziali in via dei Cavalieri per iscriversi nuovamente. La commissione addetta a valutare le ammissioni dei nuovi adepti, era formata da 6 Consoli, che interrogavano il candidato, e dal Camerlengo il quale doveva riscuotere la tassa di 300 Fiorini oro. I Consoli lo interrogarono per verificare la sua fede nella parte Guelfa, dovette giurare di non essere mai stato Ghibellino, anche se durante l’esilio si era recato a Marradi in seguito si era trasferito a San Godenzo per un primo avvicinamento ai suoi antichi nemici e mantenere i contatti con gli altri Bianchi esiliati. E aveva partecipato con il comandante Ghibellino Scarpetta Ordelaffi e agli altri fuorusciti alla battaglia di Castel Pulciano, dove furono sconfitti duramente dalle truppe Guelfe guidate dal Podestà Fulcieri da Calboli.

Superato questo esame davanti ai Consoli, fu autorizzato ad iscriversi nuovamente e a pagare al Camerlengo la relativa somma non appena avesse trovato un impiego. Si recò allo Studium, e dopo aver superato l’interrogatorio sulla fedeltà Guelfa venne ammesso all’insegnamento. Nell’attesa di iniziare le lezioni di filosofia riprese a scrivere la Commedia, il Convivio, il De Vulgari Eloquentia, tutti iniziati in esilio.

Intanto il suo parente nemico Corso Donati cercava di diventare il padrone assoluto di Firenze con un colpo di mano, che non andò a buon fine inimicandosi i suoi compagni della fazione dei Neri della Parte Guelfa. Tantoché la Signoria nell’anno 1308 lo condannò insieme a Gherardo Bordoni come ribelle e traditore. Il sei ottobre di quell’anno il popolo assaltò e depredò le sue case dove si era barricato, per attendere gli aiuti promessi da Uguccione della Faggiola. Ma le truppe non arrivarono mai erano state fermate vicino a Firenze. Così cerco di fuggire dagli armati del Comune e dai popolani. Nella fuga Corso giunse nei pressi del Monastero di San Salvi cadde da cavallo, rimanendo con un piede prigioniero nella staffa e venne ucciso da Rossellino Della Tosa. I frati raccolsero il cadavere e lo inumarono nella chiesa.

La notizia in città accolta con urla di gioia dal popolo, dai suoi compagni, dai Bianchi rimasti in città, da Dante e sua moglie. La città tirò un sospiro di sollievo, era morto il “Barone” colui che si era sempre sentito al disopra della legge, salvato in ogni occasione dal Papa Bonifacio VIII. Mandandolo come Podestà nelle città amiche, salvandolo dalle condanne della Signoria di Firenze, e dai suoi compagni.

Dante aveva iniziato a tenere le sue lezioni di filosofia allo Studium Fiorentino, quando un Nunzio della Signoria lo raggiunse notificandoli la notizia che aspettava da quando era rientrato. L’incoronazione al titolo di Poeta nel bel San Giovanni amatissimo da lui, il giorno del Santo Patrono Giovanni Battista. Così il 24 giugno del 1310, insieme alla moglie e i suoi figli, si diresse verso il Battistero per assistere alla messa e alla sua incoronazione. Nel tratto di strada dalla sua abitazione alla chiesa, il popolo lo seguiva osannando, e incitandolo chiamandolo per nome.

Giunto presso la chiesa vi entrò. La Signoria formata da: i Priori, il Gonfaloniere di Giustizia, il Podestà Pantaleone Buzzacarini, vi avevano preso posto, il Vescovo Antonio D’Orso, il Clero e il popolo tutto riempiva il Battistero. Da un lato si trovavano i Poeti Cecco Angiolieri suo vecchio compagno d’armi a Campaldino, Folgòre da San Gimignano, e Cino da Pistoia, lo accolsero separandolo dai suoi familiari. La messa scorse via con velocità, anche per la cappa di calore che c’era nella chiesa facendo sudare i presenti. Alla fine il Vescovo nella sua omelia parlò di Dante, magnificando la sua persona e la dignità con la quale aveva vissuto l’esilio, mai dalla sua bocca era uscita parola contro la sua Patria, e contro Bonifacio VIII. Disse che il Pontefice Benedetto XI, lo perdonava, gli toglieva l’Anatema lanciatogli dal suo predecessore, e lo esortava ad essere un buon cristiano.

Venne il momento sognato quando era ramingo per l’Italia, ospite dei Signori che facevano a gara a chi lo teneva ospite nei loro castelli. Il Podestà si alzò in piedi prese brevemente la parola, e lo invitò ad avvicinarsi per essere incoronato Poeta, con una corona di alloro a conferma del titolo. La cerimonia volgeva al termine, l’Alighieri ringraziò le autorità cittadine e il Vescovo. I suoi amici gli andarono in contro abbracciandolo con affetto, mentre il popolo lo acclamava i suoi figli e la moglie Gemma versavano lacrime di gioia.

Fine seconda parte
Novella su un presunto ritorno di Dante, seconda parte
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Un pensiero su “Novella su un presunto ritorno di Dante, seconda parte

  • 13 Novembre 2020 alle 23:34
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    Troppo bello per esser vero, povero Dante! L’Alighieri soffrì moltissimo di non poter ritornare a Firenze e in definitiva Ravenna fece bene a non restitire a Firenze i resti mortali del poeta. Quella città che ha al suo interno e nelle immediate vicinanze tesori notevoli artistici e storici è giusto che conservi le ossa del poeta. Se voi vi foste trovati nei medesimi panni di Dante avreste accettato di essere derisi, messi su un ciuco e portati a spasso per la città? Non è per il pagamento del denaro, ma proprio buttare la propria dignità ai porci che è estremamente offensivo e lesivo della dignità umana in qualunque epoca si tratti.

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