Marta Questa, a quattro mani con Alfredo Scanzani, ha scritto il libro “Chi era la Beatrice di Dante?” edito da Scribo. La notizia ci ha reso felici perchè un altro redattore della Rivista Fiorentina FlorenceCity ha realizzato un’opera letteraria sulla nostra bellissima città. In questo caso si parla di un personaggio della nostra Firenze, una donna che tutti conoscono per il nome che porta e per chi ha ispirato; ma siete poi cosi sicuri di conoscerla davvero?
Lascio a Scribo e alla sua recensione la presentazione del libro e invito i nostri lettori ad onorare la nostra autrice con una attenta lettura. Marta Questa invece ve la presento io, potete sapere chi è leggendo a questa pagina o leggere gli articoli che ha pubblicato da noi a questo link.
“La vera Beatrice? Si chiamava Piccarda”, titolava a tutta pagina il quotidiano nazionale La Stampa sabato 31 gennaio 1998, riproponendo un enigma che dal 1321, anno della morte di Dante, ha dannato e diviso dantisti d’ogni latitudine, a cominciare da Jacopo, uno dei figli dell’Alighieri, fino al professor Marco Santagata, storico della letteratura e curatore delle opere di Dante, da poco deceduto a Pisa. A riproporre i dubbi sull’identità segreta della donna amata dal Poeta, era allora un saggio di Daria de Vita, italianista che attraverso lo studio critico del Trattatello di Boccaccio, della Vita Nuova e del Convivio, rimetteva il dito sulle contraddizioni mai chiarite dall’autore della Commedia, neppure in quest’ultima opera. Abbracciando così le perplessità espresse in passato da studiosi di chiara fama; e senza negare l’esistenza di Bice Portinari, colei che da sempre incarna nell’immaginario collettivo il ruolo, mai cercato e desiderato, della donna angelicata.
In queste stringate righe è riassunto il filo conduttore del testo “Chi era la Beatrice di Dante?” (Scribo edizioni) dal sottotitolo “Bice Portinari, Piccarda, solo un simbolo…Quelle bambine di Firenze maritate in culla”, da poche settimane in libreria. Gli autori, Alfredo Scanzani e Marta Questa, sono un giornalista ed una ricercatrice, i quali hanno pazientemente ripreso, messo a confronto un’incredibile e mole di giudizi e di pareri espressi nei secoli dagli studiosi di maggior spessore. Parliamo di Jacopo della Lana, Boccaccio, Francesco da Buti, Guido da Pisa, Mino Vanni d’Arezzo, il Landino, Vellutello di Lucca, Rossetti, De Sanctis, D’Ancona, Mazzini, Borges, Berthier, Isidoro del Lungo, Carducci, Pascoli, Benedetto Croce e via discorrendo.
Il breve viaggio tra quotidianità, feste, intrighi, tradizioni, amori, curiosità, affari e politica che animavano la Firenze della seconda metà del 1200, intende innanzitutto far riflettere sulle reali esperienze che, convinte dall’ambiente familiare o meno, Bice, Piccarda, Gualdrada e altre fanciulle, nate come loro nel seno di famiglie ricchissime ed autorevoli, erano costrette ad accettare.
La città è divisa in guelfi e ghibellini dall’inizio del secolo per colpa di Buondelmonte che, avendo osato rompere il fidanzamento con una fanciulla degli Amidei, era stato ammazzato sul Ponte Vecchio. Nonostante i velenosi contrasti, Firenze conosce uno sviluppo eccezionale. Il flusso di gente in arrivo dalle campagne per trovare lavoro e fortuna, è inarrestabile. I commerci, la lavorazione della lana, il fervore artistico e il fiorino d’oro, trasformeranno presto Firenze in uno dei centri vitali dell’Europa intera.
Le casate che controllano banche, politica ed affari, per mantenere ricchezze e potere utilizzano pure l’arma degli sposalizi incrociati, “maritando in culla” (scriveva l’Ottimo, contemporaneo di Dante) maschi e femmine. Però sono quest’ultime le più sacrificate. Capaci appena di firmare un documento, imparano a ricamare ed a gestire la casa. Devono solo obbedire, prima ai padri, poi ai mariti, che sposeranno vergini a 12, 13, massimo 14 anni. Al contrario delle coetanee meno benestanti, frequentano chiese e poche feste, senza grilli per la testa. Sarebbero guai e vendette,
come successe a Buondelmonte.
Senza mai discostarsi dai riferimenti storici, gli autori invitano i lettori a visualizzare Bice mentre viene battezzata nel Battistero di San Giovanni, a sentirla ridere e giocare nei campi di Pagnolle, vicino Santa Brigida, insieme a Dante ed altri amichetti.
La vediamo esaltarsi nel Corso durante il palio dei “bàrberi”, l’osserviamo nel giorno del precocissimo contratto con i Bardi, quando il padre assicura una dote spropositata, poi l’ebbrezza del matrimonio, il “prezzo” della verginità pagato da Simone… E, di pari passo a quella di Bice, storie che fanno capire perché Dante (già promesso alla bimba Gemma Donati) non avrebbe mai potuto legarsi alla Portinari, destinata ad un rampollo di una delle più facoltose e potenti famiglie d’Europa.
Un capitolo intero, infine, è stato dedicato alla interpretazione della Beatrice dell’Alighieri, proponendo alla riflessione degli appassionati e degli studiosi il pensiero (dal 1300 ad oggi) di decine e decine di dantisti e letterati: chi la identifica nella teologia, chi nella filosofia, nella virtù, nella guida spirituale; diversi studiosi sostengono sia
un’invenzione poetica, un sogno; molti fanno convivere concetti celesti ed ipotetici sentimenti terreni del Poeta. Ogni ipotesi corroborata da anni di studio, sottolineano Scanzani e Questa, merita ascolto e rispetto.
La docile Bice Portinari accetterà Simone dei Bardi, la silenziosa Gemma darà figli a Dante, tanta umiliazione per Gualdrada, ignobile violenza su Piccarda; tutte bambine, tutte usate quale pegno per rinsaldare, favorire le alleanze e l’orgoglio dei maschi. Chi ha ispirato davvero la donna angelicata dal Poeta nella “Divina Commedia”? Chi, o che simbolo, si nasconde dietro colei che – sono parole dell’Alighieri – “fu da molti chiamata Beatrice”?