Era l’ anno 1252 quando fu coniato per la prima volta dalla Zecca di Firenze il fiorino d’oro, una moneta composta di oro puro 24 carati, del peso di circa 3 grammi e mezzo con raffigurato da una parte il giglio, simbolo di Firenze e dal rovescio il patrono della città, San Giovanni Battista.

Autorità incaricate effettuavano accurati controlli sulla lega ed una specifica normativa comunale cercava di difenderlo da presunti falsificatori, ricompensando anche lautamente chi li avesse denunciati. Non sempre queste misure si rivelarono sufficienti.

Dante Alighieri nel canto XXX dell’ Inferno ci rievoca il caso del famoso falsificatore Maestro Adamo, un dannato che ci descrive fatto “a guisa di leuto” (liuto) e deforme a causa della idropisia che gli rendeva il volto magro e scarno ed il ventre rigonfio ed enorme. La sua origine è incerta, ma si sa che ai tempi di Dante visse alle dipendenze di un ramo della famiglia dei conti Guidi di Romena (Guido, Alessandro e Aghinolfo) in quei luoghi del Casentino attraversati da “Li ruscelletti che d’ i verdi colli /….. discendon giuso in Arno/faccendo i lor canali freddi e molli” (Inferno, canto XXX, versi 64-66), luoghi che lo videro al massimo della sua fama, ma in ultimo cadere in disgrazia.

I conti di Romena, che avevano sempre svolto cariche pubbliche importanti e di responsabilità, da molto tempo avevano un tenore di vita al di sopra delle loro possibilità. Per far fronte ai loro debiti ed aumentare le risorse economiche ebbero l’idea di far battere fiorini falsi sotto il conio dell’amministrazione fiorentina. La “lega suggellata dal Battista” doveva risultare di peso regolare , ma di lega inferiore, precisamente di 21 carati anziché di 24 (quindi circa 7/8 d’oro e 1/8 di rame o altro metallo di poco pregio). I conti di Romena si avvalsero dell’ opera di Maestro Adamo, che nella rocca casentinese falsificò la moneta fiorentina, e di uno “spenditore”, incaricato di mettere in circolazione nella città di Firenze le monete false.

Fu il caso che fece scoprire il complotto. Lo storico fiorentino Paolino Pieri nella sua Cronica informa che nel 1281, al tempo del podestà di Firenze messer Matteo de’ Maggi da Brescia, “si trovaro fiorini d’oro falsi in quantitade per un fuoco che s’apprese in Borgo San Lorenzo in ca’ degli Anchioni; e dissesi che li facea fare uno de’ conti da Romena, e fune preso un loro spenditore, e per cose che confessò sì fu arso”.

Fu appunto a seguito di un incendio in una casa in borgo San Lorenzo che fu scoperto in Firenze il deposito di monete false. Maestro Adamo fu arrestato, condannato e arso vivo, perché all’epoca falsificare il fiorino non significava contraffare semplicemente un metallo nobile, ma mostrare di non avere rispetto per una istituzione giuridica.

E cosa fu dei Guidi? Nessuno dei fratelli subì la confisca dei loro beni, come sarebbe dovuto avvenire. Non furono condannati perché ebbero la brillante idea di “convertirsi” al guelfismo. Il misfatto fu dimenticato e ben presto la famiglia ricoprì anche incarichi pubblici di grande responsabilità. Passò ancora un po’ di tempo quando, per ovviare alle falsificazioni sempre più diffuse, nel 1294 fu istituito l’Uffizio del Saggio con il compito di verificare tutte le monete in circolazione anche dopo l’uscita dalla Zecca, perché a quei tempi il valore delle monete dipendeva dalla quantità di metallo pregiato in essa contenuto e questo andava garantito in tutti i modi.

E poi perché, si sa, “San Giovanni un vole inganni”.

Marta Questa
San Giovanni un vole inganni: i Romena
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