La Congiura: Parte 1 Introduzione
Parte 2
Sforza, Riario e Medici
L’ultimo della lista a pagare per la congiura contro i Medici fu Girolamo Riario Signore di Imola e Forlì, pugnalato nel Palazzo del Governo ben dieci anni dopo l’attentato. Il suo corpo esanime venne poi gettato nudo nella piazza centrale, così che i presenti potessero continuare ad infierire su di lui con umiliazioni ed oltraggi.
Girolamo, il nipote di Papa Sisto IV che aveva osato alzare le armi su Lorenzo e Giuliano, non fu però raggiunto dalla vendetta di Lorenzo, ma da degli esacerbati rivoltosi. Lorenzo aveva tentato ben tre volte di vendicarsi ma senza riuscirci, così per ostacolarlo ne aveva diffuso il malcontento sui luoghi che governava, frustrandone le ambizioni a cariche di potere a Firenze.
Girolamo, senza l’appoggio di Sisto IV, non sarebbe neanche apparso nella politica fiorentina o sui libri di storia. Di famiglia modesta, aveva sposato Caterina Sforza, la figlia illegittima di Galeazzo Maria Duca di Milano. Era un odiato governante, a causa dei suoi metodi ed eccessi. Ad esacerbare ancora di più gli animi dei suoi cittadini, fu una nuova tassa da lui pretesa sulle proprietà fondiarie. Come se non bastasse aveva alle costole due esattori della famiglia Orsi (Checco e Ludovico) e due suoi capitani, anche loro pieni di astio nei suoi riguardi a causa di ingenti debiti in sospeso.
Così, insieme ad altri rivoltosi decisero di sopprimerlo durante una cena ai quali Girolamo stesso li aveva invitati senza sospettare nulla. Durante le libagioni i rivoltosi estrassero i pugnali mentre Girolamo terrorizzato si nascondeva inutilmente sotto ad un tavolo e la servitù fuggiva terrorizzata Nessuno lo soccorse, anzi gli assassini furono aiutati da chi sentite le urla accorse per infierire sul corpo già martoriato. Altri accorsero per bloccare le porte d’ ingresso del palazzo evitando così che gli esponenti della sua famiglia potessero soccorrerlo.
La popolazione accorse per vedere il cadavere nudo riverso sulla piazza e per congratularsi con gli attentatori. Figli e moglie dell’uomo furono poi fatti prigionieri e il palazzo depredato.
Ma a cosa finita e calmati animi e tumulti, i fratelli Orsi furono presi dal panico per le conseguenze della loro azione, così scrissero intimoriti a Lorenzo de Medici cercando di ingraziarselo per aver vendicato Giuliano e sperando nella sua protezione. La lettera continuava descrivendo con dovizia di particolari l’atto cruento così come si era svolto, aggiungendo come sia il popolo che il clero avessero manifestato giubilo per la loro azione e la morte del despota.
Lorenzo appoggiò i due, ma da buon politico navigato quale era non lasciò prove scritte della cosa. Pochi giorni dopo la richiesta di aiuto alla quale Lorenzo non rispose, giunse un aiuto militare proveniente da Milano per riappacificare Forlì. Gli Sforza avevano mandato un piccolo contingente per recuperare la città, porre fine al subbuglio e restituirla a Caterina Sforza, la moglie di Girolamo sua diretta erede. Questa prontamente intervenne per fermare l’esercito salvando la città da sicura distruzione e saccheggio. Una mossa astuta per recuperare il favore dei forlivesi.
Caterina entrò trionfante nella città mentre gli Orsi e chi li aveva appoggiati cominciarono a temere per la propria vita. Le case dei rivoltosi furono infatti attaccate e distrutte e i responsabili catturati e massacrati. Il vetusto padre dei fratelli Orsi per altro innocente, fu legato su una tavola di legno a faccia in giù e trasportato con i cavalli per la piazza principale della città, una volta morto gli venne estratto il cuore che venne preso a morsi dai presenti.
Intanto Caterina faceva riesumare il corpo di Girolamo per dargli degna sepoltura, non prima però di averlo esposto per una veglia durata tre giorni nella chiesa di San Francesco. Visti i suoi atti, Girolamo sarebbe dovuto essere sepolto in terra sconsacrata, ma il clero chiuse un occhio, anche perché la moglie insisteva sul fatto che negli ultimi giorni l’uomo si stava redimendo e pentendo dei suoi misfatti… La donna era particolarmente pia, suo marito non troppo.
Con la morte di Girolamo, Innocenzo VIII poteva ora ambire a donare un piccolo regno composto da Forlì, Imola e Faenza al figlio Franceschetto, che intanto era andato in sposo a Maddalena, figlia di Lorenzo.
Un bel piano per entrambi, sia per Lorenzo che per il Papa, ma i fiorentini non avrebbero ben visto questa alleanza e temuto un insediamento papale così vicino alla loro città. Serviva dunque discrezione per portare avanti la cosa.
Pochi giorni dopo venne versato altro sangue. Galeotto Manfredi, uomo di Lorenzo, venne assassinato perché colluso torbidamente in un poco chiaro intreccio tra le potenti città di Firenze, Roma, Venezia e Milano. Governatore di Faenza l’uomo era particolarmente dedito all’adulterio. La moglie più volte ferita ed offesa dai suoi tradimenti, portò proditoriamente il marito nella stanza da letto matrimoniale, dove erano nascosti i parenti della sua famiglia (i Bentivoglio), che uccisero Galeotto.
Va evidenziato come l’assassinio del Duca di Milano avvenuto sedici mesi prima della congiura medicea sia legato anche a questo fatto. Galeazzo Maria Sforza era il figlio di Francesco Sforza, colui che aveva aiutato Cosimo, il nonno di Lorenzo, a rinforzare l’influenza dei Medici su Firenze. Anche Galeazzo come i due fratelli fiorentini venne avvicinato ed assalito durante una messa. Uomo violento e disinibito, Galeazzo soddisfaceva i suoi appetiti sessuali con donne “comprate” attraverso ricatti e subdoli compromessi, poi soddisfatti i suoi bollori, le cedeva generosamente alla corte. Particolarmente cruento, non si fece mai scrupolo di sopprimere barbaramente persone che lo ostacolavano o infastidivano con rimedi efferati e fantasiosi. Queste azioni lo avevano così inviso sia alla corte che al popolo.
Alcuni dei cospiratori erano mossi da motivi politici, altri da odi maturati a seguito di sgarbi, violenze e soprusi, soprattutto a danno delle loro congiunte. Così, nella chiesa di Santo Stefano, il Duca venne circondato e colpito con pugnali e spade. Sul corpo martoriato e senza vita vennero contate ben quattordici ferite.
Ma i congiurati non avevano organizzato l’attentato con solerzia ed attenzione, i più erano mossi da semplici odi personali e pensarono, o meglio sperarono, che il popolo afflitto dalle intemperanze e dal mal governo del Duca si schierasse dalla parte dei sobillatori, magari con la speranza di veder risorgere la vecchia Repubblica Ambrosiana.
Ma non andò così. Giovanni e Andrea due dei diversi cospiratori, furono catturati dallo stesso popolo, trascinati per le strade della città, malmenati, lapidati e infine accoltellati per poi essere appesi davanti alla loro casa a testa in giù. In seguito uno dei cadaveri fu decapitato ed asportata la mano come atto simbolico. Quest’ ultima venne bruciata e poi inchiodata ad una colonna della piazza. I resti martoriati del corpo invece furono trascinati nuovamente per le strade della città. Anche in questo caso si ebbero casi di cannibalismo, cuore e fegato vennero morsi con rabbia dai presenti, il resto venne dato in pasto ai maiali.
Ma la fame di giustizia sommaria non si era esaurita, si protrasse con la cattura degli altri congiurati condannati alla ruota per essere torturati, poi squartati e i loro corpi appesi fuori le porte della città come monito.
Quel forte sentimento di “tribalità” così diffuso nel medioevo, permetteva che l’odio si perpetrasse anche danno delle famiglie dei rei. Le abitazioni dei parenti degli insorti vennero così saccheggiate e i residenti trovati in esse arrestati ed esiliati.
Con la mentalità odierna si può pensare che l’esilio fosse il male minore, ma ricordiamoci della pena di Dante, di come soffrì l’obbligata lontananza dalla sua città, la mancanza della famiglia e degli amici. Questa esperienza si trasformava all’epoca in una sorta di morte sociale, della perdita della propria identità, di una damnatio memoriae che trasformava il renitente ad una punizione opprimente, pesante, senza fine nella quale veniva allontanato come un appestato e dimenticato.

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